di Plinio Vecchiato
Il nostro amico Plinio Vecchiato ci invia alcuni suggerimenti di lettura, e di ascolto, a partire da un articolo di Aldo Cazzullo dedicato al festival di Sanremo, che si può leggere sul sito del Corriere della Sera. Vecchiato entra con prudenza su un terreno molto frequentato dagli storici, soprattutto negli ultimi anni; il merito principale che rivendica è quello di segnalare una fonte importante per gli studiosi del futuro. Ma ci ha anche scritto di avere pronto il titolo per un libro sull’argomento, che difficilmente farà, ma non si sa mai: L’amore convitato di pietra al banchetto delle nazioni: ed è subito pantografo.
A Maria Ilva Biolcati
Di che cosa è fatta l’identità delle nazioni? Sarebbe questa la sede adatta per discuterne, magari a partire da un riepilogo sistematico e ragionato delle tante analisi, riflessioni e percorsi che gli storici hanno affrontato su uno dei temi più complessi della storiografia contemporanea.
Adatta la sede, ma disadatto chi scrive.
È che difetto di spirito critico. E dire che avrei fatto la scuola apposta per lo spirito critico, il Classico, che a differenza dell’Itis che quando lo finivi trovavi subito da andare a lavorare perché eri perito, col Classico ti toccava fare l’Università perché avevi acquisito lo spirito critico.
«Per cosa è che serve il greco?»
«Per lo spirito critico»
Poi ieri ho avuto un colpo di fortuna, e sento che, nonostante il claudicante spirito critico, finalmente posso anch’io portare il mio contributo alla comunità scientifica.
Non è un contributo personale, questo è vero, ma credo che mi vada riconosciuto quantomeno il merito di essere il primo a proporlo all’attenzione degli storici cui era clamorosamente sfuggito perché troppo spesso essi stanno nelle torri eburnee.
Ma non è solo un problema di torri se agli storici è sfuggito: spesso, nella vita e nell’amore così come nella ricerca storica, quello che andiamo cercando ci passa davanti agli occhi e noi non ce ne accorgiamo, o ce ne accorgiamo quando è troppo tardi come tanti Claudio Baglioni nel famoso brano Questo piccolo grande amore.
Nella fattispecie il contributo che vado a presentare è stato pubblicato lunedì 16 febbraio sulla homepage del prestigioso quotidiano nazionale Il Corriere della Sera, e non c’è niente da ridere: scovarlo non è stato facile. Se ne stava nascosto tra le foto di Jimmi il cane lupo che sa sorridere e il video di un inviato della tv americana che a un certo punto dietro passa uno nudo. Era circondato dalle opinioni di Flavio Briatore sulle riforme che necessitano al sistema paese, dalle dichiarazioni di Salvini che è tutto contento che in Grecia ha vinto Tsipras e da quelle di Farina del Leoncavallo che ha votato Mattarella Presidente.
C’era la Meloni che ricordava le foibe ma non dimenticava i nostri marò, una galleria con le immagini dei più buffi incidenti stradali del mondo e una sequenza di foto del pilota giordano bruciato vivo dentro la gabbia dai musulmani cattivi che non mi ricordo mai se sono i sunniti o gli sciiti (i giornali non hanno pubblicato il video, perché è una questione di etica, però scorrere veloci le immagini è quasi come vedere il video, perché è una questione di diritto di cronaca ma anche di libertà di stampa/#jesuischarlie).
Voglio dire: sembra facile trovare una cosa sull’homepage del prestigioso quotidiano nazionale Il Corriere della Sera ma, in mezzo a così tante notizie che è il bombardamento mediatico, capite bene che non lo è per cui io spero che in futuro mi verrà riconosciuto quantomeno il merito di aver per primo portato sul proscenio del dibattito storiografico questo contributo.
Ma basta ora parlare di me e veniamo al pezzo di cui voglio parlare. Porta la firma di Aldo Cazzullo, parla della canzone che ha vinto il festival di Sanremo e il titolo dice così: Dietro Il Volo dei non famosi c’è l’Italia che vuole ritrovarsi.
È chiaro che dietro a un grande scrittore c’è sempre un grande editore. Potevano mandarci un Luzzato Fegis qualsiasi al festival di Sanremo e pubblicare un articoletto col voto alle canzoni e il commento agli abiti, casomai riportando le polemiche intorno agli argomenti più scottanti emersi nel corso della settimana televisiva più attesa dell’anno quali per esempio l’omosessualità, argomento che dopo aver scatenato il dibattito nell’edizione del festival 2009 grazie a Povia e alla sua Luca era gay (ma adesso sta con lei) quest’anno è stato affrontato sul palco dell’Ariston tanto da Grazia di Michele e Platinette quanto da un travestito austriaco che canta canzoni d’amore con la barba e di nome d’arte fa Conchita Wurst.
De Bortoli no, al Festival c’ha mandato il Cazzullo, la firma di punta, raffinato analista politico, ma anche profondo conoscitore del carattere degli italiani, uno che, come si dice, sa raccontare il Paese: ed è subito pantografo.
È chiaro che se tu al Festival ci mandi il Cazzullo, quello mica ti indugia in quisquiglie canore, quello come ti arriva è già lì che osserva, analizza e poi parte col pantografo: prende la popolare kermesse canora e in due sapienti colpi sulla tastiera te la restituisce ingrandita a spiegare il momento storico del sistema paese.
Lascio a voi leggere qui in integrale il pensiero del Cazzullo e trarne gli spunti che riterrete. Per quanto è nelle possibilità del mio malmesso spirito critico vorrei però tracciare a grandi linee quello che ho ricavato da questa analisi del Cazzullo, che un po’ si inserisce nelle grande tradizione storica e per così dire segue quel filo invisibile che, prendendo le mosse dall’austromarxismo degli Otto Bauer, mena agli Chabod e per alcuni aspetti rimanda al più ampio contesto de Il secolo breve, tanto termini di suggestioni quanto in ottica di emozioni, perché, in fondo, di questo si tratta: emozioni (dal latino emovere, mandare fuori/scuotere/sconvolgere. Il Classico serve anche perché spesso riesci a fare le etimologie senza guardare su wikipedia che quando non c’è campo o hai finito i Giga dello smartphone è abbastanza comodo e suscita ammirazione negli amici).
Dunque: nella prima parte dell’articolo, intitolata «Una canzone mediocre spinta dal bisogno di identità e tradizione. Il trio è lo specchio di uno spirito diverso, c’è la necessità di ripartire e recuperare fiducia» l’autore espone la tesi del Sanremo pantografo, perché in fondo Sanremo «a volte anticipa, sempre riflette i tempi».
A corroborare la sua tesi porta pochi, ma inattaccabili, argomenti:
«Nel febbraio 2011, ad esempio, i televotanti fecero vincere a sorpresa un cantautore, Roberto Vecchioni, con un testo dichiaratamente antiberlusconiano e fortemente critico del presente; segno che il Paese si preparava a chiudere una stagione»
E ancora:
«Nelle canzoni degli anni successivi il mondo cadeva a pezzi e l’Italia crollava sotto i colpi della crisi e dei suicidi».
Il Cazzullo è uno che dice e non dice, in ogni modo il riferimento all’«Italia che crolla sotto i colpi dei suicidi» è un evidente rimando al pezzo vincitore di Sanremo 2012, Non è l’inferno di Emma Marrone, e in particolare al j’accuse del ritornello contro la casta dei politici che sono sordi al grido di dolore del popolo delle partite iva, che dice:
No, questo no, non è l’inferno,
ma non comprendo
com’è possibile pensare
che sia più facile morire
No, non lo pretendo,
ma ho ancora il sogno
che tu mi ascolti e non rimangano parole
Se posso muovere una critica costruttiva, ma beninteso rispettosa, al Cazzullo, fossi stato il Cazzullo avrei affrontato il tema più diffusamente. Avrei parlato per esempio di come, prima del succitato Vecchioni, siano stati Giò di Tonno e Lola Ponce nell’edizione del 2008 ad anticipare in qualche modo i segni «che il Paese si preparava a chiudere una stagione» nell’accattivante brano vincitore nella categoria Campioni Colpo di Fulmine
C’erano segni
c’erano segnali
numeri indecifrabili
forse nascosti sotto ai mari
o di come nel 2010, cioè appena due anni prima che l’Italia crollasse sotto il colpo dei suicidi, Valerio Scanu abbia da par suo scosso le coscienze di una certa sinistra salottiera, benpensante e intimamente conservatrice tornando ad affrontare il tema delle cose che si muovono sotto acqua nella sua Per tutte le volte che:
noi coperti sotto il mare
a far l’amore in tutti
i modi, in tutti i luoghi
in tutti i laghi in tutto il mondo
l’universo che ci insegue
ma ormai siamo irraggiungibili
La prima parte dell’articolo si chiude senza compromessi con una critica forte e diretta all’establishment culturale italiano, settoriale e provincialotto, abituato ognuno a coltivare il suo proprio orticello che sono i compartimenti stagni, tipo Luzzato Fegis che ha dato 5 in pagella alla canzone Grande Amore de Il Volo perché non ha saputo guardare aldilà del mero aspetto musicale e cogliere la portata innovativa del brano in termini di speranza per i giovani senza lavoro che chiedono più futuro.
D’altra parte, e qui se posso faccio un po’ l’avvocato del diavolo, non è che puoi chiedere a uno come Luzzato Fegis che di lavoro fa il critico musicale di cogliere questi aspetti qua: e infatti De Bortoli c’ha mandato il Cazzullo a Sanremo per coglierli perché, con tutto il rispetto per Luzzato Fegis, ma un Luzzato Fegis non avrà mai lo sguardo ampio che può avere un Cazzullo, non è nel suo DNA.
Nella seconda parte dell’articolo si spiega, in primis a Luzzato Fegis e quindi al paese tutto, che se da una parte è innegabile che la canzone Grande Amore de Il Volo un po’ è vero che fa cagare («bocelliana e un po’ stereotipata, gorgheggi e melodia, echi di arie liriche e canzoni napoletane…»), è anche vero che questa è l’Italia che sa piacere e piacersi, l’Italia che si guarda allo specchio senza piangersi addosso ma anzi con una fiducia piena di speranze e pronta a guardare avanti per aprirsi a un mondo globale dove c’è tanta, ma tanta, voglia d’Italia.
È a partire da questa prospettiva che si possono scorgere le linee guida delle future politiche culturali del Cazzullo, ma anche i tratti fondanti di questa identità nazionale che non è solo un’identità del Cazzullo, ma io credo che un po’ appartiene a tutti noi, perché:
«quello che il mondo ci chiede non è la nostra cultura “alta”, non sono i nostri scrittori, i nostri registi, i nostri cantautori, che con rare eccezioni si fermano ai confini; è la cultura materiale, la tradizione musicale, i prodotti del vivere quotidiano dal cibo al design».
Cioè, non è che si può andare a spaccare le balle per esempio ai danesi con la cultura «alta», a dirgli plíz vizít Italy cauz we have the Accademia della Cruzca.
Non è che ai canadesi tu puoi andare a vendergli per esempio Dante che, se è vero che nella parte che lui è all’Inferno ci sono dei momenti abbastanza coinvolgenti come quando incontra mostri quali il Cerbero e l’Alonza, è anche vero che per il resto nel Purgatorio e in Paradiso c’è pochissima azione, è scritto in un italiano che fanno fatica a capire anche quelli che hanno fatto il Classico, e poi ci sono troppi personaggi e non si capisce bene la trama.
La pizza, la pasta bolognesa, simmu e’ Nappule paisà, volare oh! oh!, o sole mio, i grandi marchi della moda, i faraglioni, il Chiantishire (sarà mica un caso se ci abita anche Sting, nel Chiantishire?), la fontana di Roma quella che c’è anche nel film quello famoso con l’attrice bionda quella che è morta da poco che ci fa il bagno dentro e dice «Marcellou, Marcellou come here»: questa roba qua ci chiede il mondo e al massimo, se proprio insistete con la cultura «alta», le arie quelle più famose dell’opera come per esempio quella di lui che all’alba vincerà.
Prendete George Clooney: è americano e miliardario. Avrebbe potuto sposarsi in California, o Honolulu, o a Las Vegas come ha fatto in seconde nozze Mario Adinolfi, già candidato blogger alle primarie per la segreteria del PD nonché campione di poker texas hold’em e attuale direttore del quotidiano antiabortista La Croce, e invece no: che città ha scelto George Cloney per coronare il suo sogno d’amore con la bella Amal che non solo è una donna molto ricca di fascino ma è anche un avvocatessa di successo che sovente si occupa dei diritti umani dei bambini?1
Venezia.
E perché ha scelto proprio Venezia?
Perché essa, nonostante tutte le sue contraddizioni, è una città romantica e molto ricca di fascino, ed è inoltre un’eccellenza che tutto il mondo ci invidia e anche se i miliardari cinesi provano a copiarla non gli verrà mai bene come l’originale perché essa è fatta di una magia irripetibile.
Il fatto che le grandi star la preferiscano a Miami, Honolulu e alla finta Venezia in Cina per coronare i lori sogni d’amore ne è la prova e aumenta enormemente il mio orgoglio e la mia identità nazionale, alla faccia dei gufi della cultura «alta» tipo Settis che sanno dire solo di no ma non fanno le proposte e scrivono i libri in cui dicono che Venezia muore a causa delle sue contraddizioni solo perché sono invidiosi del successo riscosso presso il grande pubblico da George e dal quel suo saper essere il simpatico, inguaribile e imprevedibile guascone che lui è.
Capito come? è partendo da questi presupposti, da questo approccio smart, che è un po’ lo stesso che sta alla base di aziende di successo del made in Italy nel mondo come la Eataly del compagno Oscar Farinetti, che l’Italia riparte, che cambia verso, perché, il Cazzullo dice e non dice, ma il soggetto sottointeso di tutta la recente produzione del Cazzullo alla fine chi vuoi che sia? Matteo Renzi. Non vi pare?
Sentite questa:
«Il successo di giovanissimi che recuperano la tradizione è anche l’indice di una necessità di ricostruire, di ritrovare un’identità, di recuperare un minimo di fiducia in se stessi e nel futuro. Dopo anni in cui abbiamo pensato che essere italiani fosse una sciagura, sentiamo il bisogno di pensare che essere italiani sia una fortuna».
In chiusura però, il Cazzullo mette in guardia dai facili entusiasmi, perché se uno poi si lascia andare ai facili entusiasmi e abbandona la strada del cambiamento il rischio che si torni all’«Italia che crolla sotto i colpi dei suicidi», è, drammaticamente, dietro l’angolo:
«Vedremo se è un moto autoconsolatorio, quindi vano, o il segno che si può affrontare a viso aperto un presente che resta difficile e mortificante, non per lamentarsene ma per cambiarlo. Intendiamoci: una canzone mediocre e un trio di «giovani vecchi» non vanno certo caricati di aspettative; ma possono essere lo specchio di uno spirito diverso, che in fondo ha segnato tutta questa edizione del Festival».
Io spero che succeda come dice il Cazzullo e che la scintilla accesa da Il Volo diventi fuoco di speranza per i giovani che cercano lavoro ma anche una maggiore speranza e futuro e mi pare giusto chiudere tutto questo riportando integralmente il testo di Grande amore, il brano de Il Volo che è un po’ l’inno del cambiamento e della speranza nel futuro del Cazzullo, ma io credo che un po’ appartiene a tutti noi:
Chiudo gli occhi e penso a lei
Il profumo dolce della pelle sua
è una voce dentro che mi sta portando dove nasce il sole
Sole sono le parole
Ma se vanno scritte tutto può cambiare
Senza più timore te lo voglio urlare questo grande amore
Amore, solo amore è quello che sento
Dimmi perché quando penso, penso solo a te
Dimmi perché quando vedo, vedo solo te
Dimmi perché quando credo, credo solo in te grande amore
Dimmi che mai
Che non mi lascerai mai
Dimmi chi sei
Respiro dei giorni miei d’amore
Dimmi che sai
Che solo me sceglierai
Ora lo sai
Tu sei il mio unico grande amore
Passeranno primavere,
Giorni freddi e stupidi da ricordare
Maledette notti perse a non dormire altre a far l’amore
Amore, sei il mio amore
Per sempre, per me.
Dimmi perché quando penso, penso solo a te
Dimmi perché quando amo, amo solo te
Dimmi perché quando vivo, vivo solo in te grande amore
Dimmi che mai
Che non mi lascerai mai.
Dimmi chi sei
Respiro dei giorni miei d’amore
Dimmi che sai
Che non mi sbaglierei mai
Dimmi che sei
Che sei il mio unico grande amore
- Per un approfondimento sulla figura di Amal Alamuddin, e specie dei tratti caratterizzanti il suo fascino, vedi anche Massimo Gramellini, AMALiato [nella rubrica «Buongiorno»], “La Stampa”, 27 settembre 2014, p. 1. [↩]