di Alain, a cura di Giacomo Corazzol
Nuovo appuntamento con il filosofo francese Alain letto e tradotto da Giacomo Corazzol.
Le mancanze della civiltà, di Alain
Ammiro molto la nostra civiltà. Lo dico senza ridere. È meraviglioso pensare a tutta questa moltitudine di azioni barbare che risultano come impossibili a un nostro uomo medio. Urtare una vecchia mendicante, prendersi gioco di un cieco, ingannare un bambino, lasciare un malato per strada, investire un cane o un gatto rimanendo imperturbabili sono tutte cose che l’uomo medio non può fare. Allo stesso modo, non sarebbe in grado di sopportare la tortura o il supplizio della ruota né come spettacolo né come idea. Abbiamo ospedali, mense popolari, ricoveri notturni, centri di assistenza per le puerpere. Tutto questo va da sé. La bontà va da sé. Su questo nessuno discute; nessuno chiede perché.
Non è poca cosa il fatto che a trattenerci dal fare del male sia un’usanza tanto radicata quanto quella che ci impone l’uso di cravatta e pantaloni. Chiamo “civiltà” ciò che va da sé nelle nostre virtù: è una specie di cortesia1, che non oso dire più estesa o più seria della cortesia stessa in quanto questa arriva assai lontano, tanto che non ne vedo i confini; nella cortesia spesso si nasconde la più grande carità. La cortesia è un omaggio al proprio simile, un riconoscimento del proprio simile, senza indagine, dal solo aspetto. Significa supporre nell’altro uno spirito e un cuore, tutta la delicatezza possibile, e tenerne conto attraverso la maniera in cui si va, si viene, ci si mette in fila, si aiuta senza aiutare troppo, ci si interessa senza interessarsi troppo. Un uomo di media cortesia è fine come tre moralisti. È Pascal, è Vauvenargues, è Voltaire, senza averne alcun sospetto. Tutto questo va totalmente da sé, è tutto meccanico.
“Oh meccanica civiltà!”. Sono parole di Montaigne2, il quale pensava alla conquista dell’America e alle rustiche virtù degli indigeni, frantumate con tanta prontezza.
Qui Montaigne va al fondo della questione. Queste parole risvegliano. Il brutto delle civiltà è che sono meccaniche. Uno vi fa affidamento, vi si adagia. Come un investitore, quasi verrebbe da dire Quasi verrebbe da dire quello che dice ogni investitore: «Paga l’assicurazione»; ma non lo si dice, e neppure l’investitore lo dice: lascia che la macchina corra. Fa come fanno tutti. Non so se vi siano mai state nazioni barbare. Tutti quelli che hanno scritto degli Egizi, dei Persiani, dei Germani trovano sempre qualche buona usanza da citare o qualche costume da ammirare. La barbarie consiste forse in questo: nel non avere altro che costumi. Viviamo allora come gira una macchina. Non giudichiamo più. Come dal droghiere il conto viene fatto da una macchina, così lasciamo che a fare i giudizi morali sia la grande macchina da giudizio: ma una macchina da giudizio non c’è.
Una persona cortese mostra del giudizio ma non ne ha. È la persona poco cortese, quella che, senza volerlo, a volte ferisce e offende, a conoscere il prezzo della cortesia. Quella stessa persona, però, ha una netta percezione dei limiti della cortesia e persino dei crimini della cortesia, di cui la guerra è un esempio sorprendente impressionante. È per questo che in ogni moralista c’è un che di selvaggio – come si vede in Rousseau, il quale, vivendo al di fuori di ogni istituzione, doveva fare tutto secondo giudizio e non ce la faceva. Nessuno ce la fa. Non si può allungare un braccio secondo giudizio: bisognerebbe dissezionare muscoli e nervi, motivi, metodo e tutto. È la natura ad allungare il braccio, ed è l’abitudine a orientare questo movimento verso una tazza da tè: qui chi pondera rompe. La natura, però, non basta in alcun modo, né bastano l’abitudine o qualsiasi civiltà. A completare e a ornare una civiltà sono gli scontenti e, più di ogni altro, gli scontenti che dovrebbero essere contenti. Specie preziosa.
2 giugno 1928
[Alain, Minerve ou de la sagesse, Paul Hartmann, Paris 1946, pp. 295-297; Alain, Propos. I, préface d’André Maurois, édition presentée, établie et annotée par Maurice Savin, Gallimard, Paris 1956, pp. 781-782 (sotto il titolo Mécanique civilisation); trad. di Giacomo Corazzol, il titolo è redazionale.]
- Rendo così il francese politesse. [↩]
- Pierre Larthomas ha notato come la presunta citazione da Montaigne sia impossibile in quanto presuppone un impiego anacronistico del termine civilisation (“civiltà”), utilizzato per la prima volta secondo l’accezione oggi usuale dal filosofo ed economista francese Victor Riqueti, marchese di Mirabeau (1715-1789), ne L’ami des hommes, ou Traité de la Population (1756-1762). Sempre secondo Larthomas, il passo di Montaigne che Alain aveva in mente va identificato con un brano da Essais III.6, intitolato Des coches (“Dei cocchi”), in cui si legge: “Tante città rase al suolo, tante popolazioni sterminate, tanti milioni di uomini passati a fil di spada, e la più ricca e bella parte del mondo sconvolta per il commercio delle perle e del pepe: sporche vittorie [mécaniques victoires]. Mai l’ambizione, mai le inimicizie pubbliche spinsero gli uomini gli uni contro gli altri a così orribili ostilità, e calamità così miserabili” (Michel de Montaigne, Saggi, a cura di Fausta Garavini e André Tournon, Bompiani, Milano 2012, pp. 1690-1691). È sempre Larthomas a notare che Alain, il quale evidentemente citava a memoria, interpreterebbe liberamente anche l’aggettivo mécanique, che, in questo contesto (come si vede anche dalla traduzione di Fausta Garavini), ha il significato di “vile”, “spregevole”. Cfr. Pierre Larthomas, D’une citation fausse de Montaigne, “L’information Grammaticale”, 29 (1986), p. 16. Nella memoria (o forse, meglio, nella riflessione) di Alain, il “meccanico” effetto è sostituito dalla causa “meccanica”. [↩]