di Luisa Accati
Proseguiamo le riflessioni intorno a quanto accaduto a Parigi e in Francia all’inizio dell’anno. Dopo aver mandato subito un commento a “caldo” all’intervento di Mario Infelise, Luisa Accati ci ha inviato queste considerazioni.
1.
Mi ha molto colpito che le osservazioni circa il diverso atteggiamento di americani e francesi verso la religione e verso la libertà di stampa messi in luce da Mario Infelise fossero presenti anche in un articolo di Gonzalo Frasca per la CNN International. Frasca arriva a dire che siamo di fronte a uno scontro di civiltà, ma non si tratta dello scontro fra Islam e Occidente, bensì fra egemonia culturale francese ed egemonia culturale statunitense. Forse questa seconda tesi è un po’ esasperata, ma c’è del vero e dell’interessante nel confronto. In sostanza si tratta della contrapposizione fra laïcité e politically correct. La laïcité del 1905 esclude una volta per tutte la religione dai riferimenti culturali condivisi da tutti i cittadini che costituiscono la società francese, e fa dei diritti civili e politici il centro di appartenenza alla società e alla cultura francesi. Fra i diritti vi è quello di praticare la religione che si vuole, ma nella sfera privata. La centralità dei diritti discende dalla rivoluzione del 1789 e dall’affermazione sette-ottocentesca, illuminista e positivista della scienza in contrapposizione alla verità di fede, quale che sia la fede. Inoltre la laïcité si contrappone alla religione cattolica di gran lunga prevalente e dominante in Francia dove, come scrive Infelise, “la libertà di espressione è stata raggiunta contro la religione dominante ed è garantita dallo stato”.
Negli Stati Uniti, viceversa, nel 1791 la costituzione americana afferma che non vi può essere legge che regoli la libertà di stampa e la libertà religiosa, la libertà di espressione è dunque legata alla libertà di praticare qualsiasi religione. “Il problema – scrive ancora Infelise – diviene quindi far convivere religioni differenti, senza lasciarne prevalere alcuna”. In altri termini la religione, una qualche religione, rientra nei criteri di appartenenza alla società civile, e le forme di autocensura si sono progressivamente espresse nel politically correct novecentesco. Questa differenza corrisponde a diverse scelte politiche, ma anche a diverse esperienze religiose; nel caso francese si tratta di cattolicesimo romano dominante, nel caso degli Stati Uniti invece di prevalenza protestante, con tutte le confessioni del protestantesimo, e dunque dall’inizio con una pluralità di fedi più o meno rilevanti, e frange di cattolicesimo minoritario. Di qui la ricerca, ma anche la possibilità della convivenza fra religioni: una possibilità che non esiste invece se vi è una religione egemone.
2.
La ricostruzione dopo il trauma del nazifascismo e della seconda guerra mondiale si è fatta sulla base dell’appartenenza religiosa. Dopo vent’anni di fascismo, l’Italia ne ha avuti quaranta di Democrazia cristiana. L’amministrazione democristiana aveva l’appoggio degli Stati Uniti e dell’intelligence, della CIA e dei servizi segreti italiani: non era in gioco il solo sentimento religioso, anche se il sentimento religioso era indispensabile. Il ricorso alla fede si rivela utile là dove la sovranità deve essere sorvegliata e limitata dall’esterno, come nel caso dell’Italia e della Germania postbelliche.
Le religioni costruiscono un mondo perfetto, parallelo a quello reale allo scopo di rendere accettabile le tensioni sociali, il dolore, la sofferenza e la morte in questo mondo; si accetta la vita umana con le sue sofferenze in vista di una vita immortale e senza dolori. Tuttavia la religione tiene separati i due mondi dell’aldiquà e dell’aldilà, mentre invece l’uso politico della religione li mette in contatto e li confonde pericolosamente. (Inutile ricordare il messianismo cattolico di Curcio e Cagol per esempio, e il carattere suicida dell’attuale terrorismo islamistico.)
A partire dal secondo dopoguerra, gli Stati Uniti non si fanno scrupolo di usare le religioni altrui con il massimo cinismo, come strumenti di dominio. Pensiamo, per gli anni più recenti, all’uso di sunniti, sciiti e talebani in Iraq, Iran e Afghanistan. Il ricorso alla religione come a una agenzia di potere permette di perseguire forme di controllo e di sfruttamento delle popolazioni, moralmente inammissibili da parte di uno stato democratico. Questa scelta tuttavia è stata e rimane un boomerang: infatti, una volta che la religione, con tutte le sue implicazioni regressive, viene utilizzata in funzione di controllo, regolarmente sfugge al controllo e si converte in fanatismo.
La modernità – dice Bauman – è alla base della tragedia del nazismo. In questa ipotesi viene reso responsabile il pensiero razionale (la ragione pura), mentre a me pare che la responsabilità della inaudita violenza del nazi-fascismo e il riaprirsi della violenza nuovamente negli anni ’70, fino a oggi, sia piuttosto da ricercare nel divario fra pensiero razionale indipendente e autonomo (la ragione pura) e un’etica (la ragione pratica) incapace di elaborazione, dunque dipendente, alienata e manipolata.
La conoscenza razionale, tecnicamente avanzata, impartita su larga scala in tutte le scuole della cultura occidentale e in costante diffusione anche negli altri paesi, diventa pericolosa nelle mani di persone emotivamente mantenute in condizioni di immaturità e di mancanza di autonomia, allo scopo di controllarle. Il divario fra conoscenza ed etica si biforca in modo perturbante.
La religione dà risposte certe a domande a cui non è né facile, né possibile trovare risposte razionali; viceversa la modernità e il pensiero scientifico implicano la capacità di reggere l’incertezza. Sulla base di queste certezze per fede (che si ha fiducia siano in un dato modo prescelto), la religione costruisce un mondo parallelo a quello umano finito, un mondo “vero” (di cui il mondo umano è solo una versione caduca) dove la realtà è come “dovrebbe essere”: senza malattia, senza morte. La certezza è fondata sulla fiducia che sia così: per esempio che oltre a una vita terrena esista anche una vita immortale. Più alto è il numero di persone che condividono la stessa fiducia, la stessa fede, più la risposta assomiglia a una realtà; d’altro canto il gruppo si consolida e cresce intorno alla scelta comune. La potenza della religione poggia tutta sulla coesione prodotta dalla condivisione di una scelta capace di dare sicurezza. Di conseguenza chiunque non condivida o metta in dubbio la certezza della risposta prescelta mina la sicurezza del gruppo, pertanto viene percepito come un aggressore, un nemico da battere, da espellere, da uccidere, da far sparire.
3.
La Francia vive da 50 anni con una consistente presenza di musulmani ben integrati nel paese, che oggi raggiunge i 6.000.000 di persone; inoltre l’antisemitismo per quanto presente in modo anche piuttosto esteso, è sempre rimasto sotto controllo e non ha mai raggiunto le punte della Germania e dell’Italia del secolo scorso. Che cosa è accaduto? Credo che la globalizzazione abbia imposto il modello statunitense di rapporto con la religione, che crede di poter usare la religione per esercitare il controllo sociale, mentre questo gioco ha preso la mano di chi l’ha messo in moto. La laïcité che garantiva cattolici, ebrei e musulmani è entrata in crisi. I tre terroristi di Parigi sono solo tre, non hanno potuto contare in Francia su una grande organizzazione di 6.000.000 di persone, e non è emerso nessun tessuto di supporto in larga scala nella società francese. Sono tre balordi, manovalanza maldestra e brutale di forze esterne che raccolgono il malcontento e gli danno sfogo, uno sfogo distruttivo e senza progetto. Malcontento che ha molto più a che fare con il petrolio e la crisi economica che non con i problemi religiosi o di libertà di stampa. Il punto debole quindi è l’abuso della religione, che dà i suoi effetti globali e mostra come sia fondamentale la laicità, e come sia stato un errore fatale aver separato lo sviluppo della scienza e della tecnica dallo sviluppo di una morale laica della responsabilità di ogni individuo.
Poi c’è lo specifico degli errori francesi La Francia strutturalmente promette diritti che da troppo tempo in realtà non garantisce ai suoi cittadini La condizione delle banlieues è la negazione del progetto di cittadinanza: emarginazione, condizioni economiche disastrose e mancanza di organizzazione dei lavoratori – una situazione aperta solo alla rabbia e alla ribellione pura e semplice. Già nel ’68 c’erano aspetti di rifiuto puro e semplice, senza un altro progetto, poi sono seguiti i casseurs e infine le rivolte delle banlieues: la progressione verso forme disorganizzate e violente era evidente. Per questi tre terroristi la religione è stata un pretesto galvanizzante che ha permesso di esprimere la rabbia: Charlie Hebdo è stato prescelto per i disegni su Maometto, ma se non fosse esistito un giornale come quello e nemmeno i disegni incriminati, avrebbero scelto un altro obiettivo, l’essenziale era esprimere la rabbia, una rabbia con una componente suicida evidente. In un certo senso non c’è più fiducia in nessun progetto, in nessun cambiamento, e la componente suicida al posto della componente rivoluzionaria è uno dei segni del momento. Del resto come fidarsi ancora di uno Stato che sapeva che i luoghi ebraici erano un obiettivo e non li ha difesi, cha sapeva che i poliziotti erano un obiettivo e non li ha difesi, che sapevano che Charlie Hebdo era un obiettivo e non l’ha difeso, che sapeva che i tre figuri erano dei delinquenti e non li ha fermati. Lo Stato non sembra più al servizio dei cittadini. Di chi è al servizio?