di Marco Toscano
Nuovo appuntamento con le letture del nostro amico Marco Toscano intorno alla prima guerra mondiale, e alla guerra in generale.
Cari di storiAmestre,
forse ricorderete, da una mia scheda di qualche mese fa, le parole di Virginia Woolf che invita a sostituire la venerazione maschile per le medaglie e le onorificenze con sentimenti creativi che comportino felicità. Ritrovo idee analoghe nel piccolo volume che raccoglie uno scambio epistolare tra Sigmund Freud e Albert Einstein. Nell’estate 1932 Einstein scrive a Freud e gli pone una domanda: “C’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra?”. A volere la guerra era “un piccolo ma deciso gruppo di coloro che, attivi in ogni Stato e incuranti di ogni considerazione e restrizione sociale, vedono nella guerra, cioè nella fabbricazione e vendita di armi, soltanto un’occasione per promuovere i loro interessi personali e ampliare la loro personale autorità”. Su questo nessun dubbio, scriveva Einstein. Ma “com’è possibile che la minoranza ora menzionata riesca ad asservire alle proprie cupidigie la massa del popolo, che da una guerra ha solo da soffrire e da perdere?” E non si trattava di «masse incolte». L’esperienza (Einstein doveva pensare alla prima guerra mondiale – rimando a un’altra mia scheda dal diario di Rolland) dimostra infatti che «la cosiddetta “intellighenzia” cede per prima a queste suggestioni collettive» (pp. 61-62).
Freud si era già posto quegli interrogativi. Nella primavera 1915 Freud aveva infatti pubblicato le Considerazioni attuali sulla guerra e la morte, in cui scriveva che mai nessun altro evento storico aveva “distrutto in tal misura il prezioso patrimonio comune dell’umanità”: gli scienziati cercavano di trarre dalla scienza “armi per contribuire alla lotta contro il nemico”; il singolo era divenuto “un semplice ingranaggio della gigantesca macchina da guerra”. La delusione provocata dall’evento derivava dal fatto che ci si aspettava guerre “tra popoli primitivi e popoli civili”, ma non tra “grandi nazioni di razza bianca dominatrici del mondo”. In Europa vivevano popoli amici, uniti dalla cultura (nessun autore classico appariva straniero a causa della lingua), dagli scambi e dal turismo. Se ci si immaginava una guerra, mai più si pensava che potesse coinvolgere la popolazione civile – donne, bambini –, come invece stava succedendo ovunque in Europa. “Lo Stato in guerra ritiene per sé lecite ingiustizie e violenze che disonorerebbero il singolo privato. […] Lo Stato scioglie ogni convenzione e trattato stipulato con altri Stati, e non teme di confessare la propria rapacità e cupidigia di potenza: e il cittadino è tenuto ad approvare tutto ciò in nome del patriottismo”.
Freud si confessava «smarrito», e concludeva che l’errore era stato credere in una Europa civilizzata: di qui la delusione. Una possibile via di uscita consisteva nel trasformare le pulsioni egoistiche in pulsioni sociali, grazie all’influsso dell’eros (cioè del “bisogno d’amore inteso nel senso più ampio”), mediante l’educazione e la pressione dell’ambiente civile. Questa trasformazione poteva essere favorita da “un po’ più di franchezza e di sincerità reciproca, nei rapporti degli uomini fra loro, e specialmente nei rapporti fra governanti e governati”.
Rispondendo alla lettera di Einstein del 1932, Freud sviluppò l’argomento avanzato nel 1915: le pulsioni di morte, rivolte all’esterno, portavano alla distruzione, mentre le pulsioni erotiche rappresentavano gli sforzi verso la vita; le pulsioni non agivano isolatamente ma erano mescolate; si trattava quindi di potenziare le pulsioni erotiche. Freud elencava infine alcune ragioni perché la guerra non dovesse essere accettata come una delle tante calamità della vita: “perché ogni uomo ha diritto alla propria vita, perché la guerra annienta vite umane piene di promesse, pone i singoli individui in condizioni che li disonorano, li costringe, contro la propria volontà, a uccidere altri individui, distrugge preziosi valori materiali, prodotto del lavoro umano, e altre cose ancora”. Dopo aver fornito un’ultima motivazione, che sarebbe diventata preponderante nel pacifismo successivo, e cioè che “la guerra di domani, a causa del perfezionamento dei mezzi di distruzione, significherebbe lo sterminio di uno o forse di entrambi i contendenti”, Freud concludeva “che la ragione principale per cui ci indigniamo contro la guerra è che non possiamo fare a meno di farlo”. Lo scambio epistolare venne pubblicato nel 1933 a Parigi con il titolo Warum Krieg?
Nel 1938, dopo l’annessione dell’Austria alla Germania nazista, Sigmund Freud (1856-1939) lasciò Vienna per sottrarsi alle persecuzioni antiebraiche e riparò a Londra, dove morì l’anno dopo a ottantatré anni.
Nel ringraziarvi dell’ospitalità, vi saluta il vostro
Marco Toscano
Eros e solidarietà, vie indirette di lotta alla guerra, di Sigmund Freud
Noi presumiamo che le pulsioni dell’uomo siano soltanto di due specie, quelle che tendono a conservare e a unire – da noi chiamate sia erotiche (esattamente nel senso di Eros nel Convivio di Platone), sia sessuali, estendendo intenzionalmente il concetto popolare di sessualità, – e quelle che tendono a distruggere e a uccidere; queste ultime le comprendiamo tutte nella denominazione di pulsione aggressiva o distruttiva. Lei vede che propriamente si tratta soltanto della dilucidazione teorica della contrapposizione tra amore e odio, universalmente nota […]. Tutte e due le pulsioni sono parimenti indispensabili, perché i fenomeni della vita dipendono dal loro concorso e dal loro contrasto. Ora, sembra che quasi mai una pulsione di un tipo possa agire isolatamente, essa è sempre legata – vincolata, come noi diciamo – con un certo ammontare della controparte, che ne modifica la meta o, talvolta, solo così ne permette il raggiungimento. Per esempio, la pulsione di autoconservazione è certamente erotica, ma ciò non toglie che debba ricorrere all’aggressività per compiere quanto si ripromette. Allo stesso modo la pulsione amorosa, rivolta a oggetti, necessita un quid della pulsione di appropriazione, se veramente vuole impadronirsi del suo oggetto. La difficoltà di isolare le due specie di pulsioni nelle loro manifestazioni ci ha impedito per tanto tempo di riconoscerle.
[…] Pertanto, quando gli uomini vengono incitati alla guerra, è possibile che si destino in loro un’intera serie di motivi consenzienti, nobili e volgari, alcuni di cui si parla apertamente e altri che vengono taciuti. Non è il caso di enumerarli tutti. Il piacere di aggredire e distruggere ne fa certamente parte; innumerevoli crudeltà della storia e della vita quotidiana confermano la loro esistenza e la forza. Il fatto che questi impulsi distruttivi siano mescolati con altri impulsi, erotici e ideali, facilita naturalmente il loro soddisfacimento. Talvolta, quando sentiamo parlare delle atrocità della storia, abbiamo l’impressione che i motivi ideali siano serviti da paravento alle brame di distruzione; altre volte, ad esempio per le crudeltà della Santa Inquisizione, che i motivi ideali fossero preminenti nella coscienza, mentre i motivi distruttivi recassero a quelli un rafforzamento inconscio. Entrambi i casi sono possibili.
[…] Per gli scopi immediati che ci siamo proposti, da quanto precede ricaviamo la conclusione che non c’è speranza di poter sopprimere le tendenze aggressive degli uomini. […] D’altronde non si tratta, come Lei stesso osserva, di abolire completamente l’aggressività umana; si può cercare di deviarla al punto che non debba trovare espressione nella guerra.
Partendo dalla nostra dottrina mitologica delle pulsioni, giungiamo facilmente a una formula per definire le vie indirette di lotta alla guerra. Se la propensione alla guerra è un prodotto della pulsione distruttiva, contro di essa è ovvio ricorrere all’antagonista di questa pulsione: l’Eros. Tutto ciò che fa sorgere legami emotivi tra gli uomini deve agire contro la guerra. Questi legami possono essere di due tipi. In primo luogo relazioni che pur essendo prive di meta sessuale assomiglino a quelle che si hanno con un oggetto d’amore. La psicoanalisi non ha bisogno di vergognarsi se qui parla di amore, perché la religione dice la stessa cosa: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Ora, questo è un precetto facile da esigere, ma difficile da attuare. L’altro tipo di legame emotivo è quello per identificazione. Tutto ciò che provoca solidarietà significative tra gli uomini risveglia sentimenti comuni di questo genere, le identificazioni. Su di esse riposa in buona parte l’assetto della società umana.
Nota. Tratto da Sigmund Freud, Albert Einstein, Perché la guerra? (1932) Considerazioni attuali sulla guerra e la morte (1915). Caducità (1915), trad. di Cesare L. Musatti, Silvano Daniele, Sandro Candreva ed Ermanno Sagittario, Bollati Boringhieri, Torino 1975, pp. 72-77; la risposta di Freud a Einstein (Vienna, settembre 1932) citata nella presentazione si trova alle pp. 64-80. (m.t.)
Le puntate precedenti:
24. Trilussa, Ninna-nanna de la guera
23. Hermann Hesse, I bombardamenti aerei sui giusti e sugli ingiusti
22. Robert Graves, Quel giorno non facemmo prigionieri
21. Vera Brittain, Roland Leighton, Cos’hanno a che fare Giovinezza, Gioia e Vita con la guerra?
19. Fanny Dal Ry, Non obelischi, ma colonne infami
18. Erich M. Remarque, Nessuno vuol sapere la verità
17. Aldo Palazzeschi, Il mandolino è mille volte superiore al cannone
16. Romain Rolland, Opinioni di Albert Einstein sulla guerra in corso
15. Simone Weil, La società attuale è un’immensa macchina di cui nessuno conosce i comandi
14. Andreas Latzko, Malato io?
13. Józef Wittlin, I misteri della subordinazione militare
12. Elias Canetti, Inni nazionali e facce stravolte dall’odio
11. Karl Kraus, Davanti a una bottega di barbiere
10. Jaroslav Hašek, Quale Ferdinando, signora Müller?
9. Virginia Woolf, Togliere dai cuori degli uomini l’amore delle medaglie e delle decorazioni
8. La rivolta della Catanzaro, da Plotone di esecuzione
7. Emilio Lussu, Un episodio di decimazione
6. Corina Corradi, La scena si faceva sempre più spaventosa
5. Helena M. Swanwick, Il senso dell’onore è causa di guerre
4. Romain Rolland, Ciascuno ha il suo Dio e combatte quello degli altri
3. Guglielmo Ferrero, Cesarismo, burocrazia, esercito
2. Bertha von Suttner, La storia insegna l’ammirazione per la guerra
Davide Zotto dice
Sul rapporto tra scienza e guerra e in particolare il ruolo dei fisici nello sviluppo delle armi è interessante la posizione assunta da un fisico italiano durante la seconda guerra mondiale. Si tratta di Franco Rasetti: uno dei “ragazzi di via Panisperna”; per la precisione era il “cardinale vicario” di Fermi, il “papa”. Rasetti, al profilarsi dello spettro della guerra, decise di lasciare l’Italia per non dover collaborare con il regime. Nel 1943 gli fu offerto di partecipare al progetto Manhattan, ma declinò l’invito per motivi etici. Dopo la fine della guerra, turbato dai bombardamenti nucleari sul Giappone, decise di abbandonare lo studio della fisica e divenne un naturalista. Così si espresse in proposito: “Io sono rimasto talmente disgustato dalle ultime applicazioni della fisica (con cui, se Dio vuole, sono riuscito a non avere niente a che fare) che penso seriamente a non occuparmi più che di geologia e di biologia. Non solo trovo mostruoso l’uso che si è fatto e si sta facendo delle applicazioni della fisica, ma per di più la situazione attuale rende impossibile a questa scienza quel carattere libero e internazionale che aveva una volta e la rende soltanto un mezzo di oppressione politica e militare. Pare quasi impossibile che persone che un tempo consideravo dotate di un senso della dignità umana si prestino a essere lo strumento di queste mostruose degenerazioni”.
Prendo queste notizie da Roberto Finzi, “Ettore Majorana. Un’indagine storica”, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2002, pp. 93-98, che a sua volta prende la citazione di Rasetti da Edoardo Amaldi, “Da via Panisperna all’America: i fisici italiani e la seconda guerra mondiale”, con una premessa di Ugo Amaldi, a cura di Giovanni Battimelli e Michelangelo De Maria, Editori Riuniti, Roma 1997, p. 73.