di Alain, a cura di Giacomo Corazzol
Nuovo appuntamento con il filosofo francese Alain letto e tradotto da Giacomo Corazzol. Questa volta con una postilla del traduttore.
Polizia e morale, o la libertà di essere giusti, di Alain
Esistono due generi di severità e due generi di punizione. C’è la polizia e c’è la morale. Il giudice di polizia guarda gli effetti; decide che un danno sarà riparato. Corregge l’ingiusto, ma dall’esterno. A venire a trovarlo non è l’ingiusto, ma il giusto, o chi si crede tale, il quale chiede che l’ingiusto sia perseguito. Lamentarsi degli altri non è affatto virtù. A fare i costumi è questo concerto di giudizi, i quali sempre vanno a dare una regolata al vicino. Polizia e costumi si collocano sullo stesso piano. L’alleanza di queste due parole consente di raggiungere una sorta di misura. Costumi di polizia e polizia dei costumi: questi composti precipitano sul fondo da sé. Ma perché? È che la malefatta del vicino, così facilmente avvertita, consente a ognuno di noi di consolarsi e perfino di scusare se stesso. Questi bassi pensieri sono l’anima della guerra, la quale deriva sempre dall’aspettare che a essere giusto sia l’altro.
La severa morale si redime da questa strana società in cui a dare la regola è il peggiore rammentando a se stessa che il suo fine non è quello di mettere l’uomo nella condizione di giudicare gli altri. Per quanto sgradevole sia da sentire, ognuno di noi sente bene questo suono. Ognuno di noi sa bene che il giusto non sta ad aspettare che gli altri siano giusti. Siamo incaricati soltanto della nostra parte di giustizia. Nei contratti che stipuliamo il nostro simile deve figurare soltanto quale egli deve essere, quale noi vogliamo che sia. Come egli sia in effetti, non è affar nostro. La giustizia non aspetta una situazione migliore, la pone. Dà e non chiede. Spera – e non è la stessa cosa; vuole persino, ma senza mai pretendere, perché ciò che vuole è un essere libero. Tale è lo spirito egalitario. Agire come se gli altri fossero liberi e ragionevoli è l’unico metodo conosciuto per fare in modo che lo siano. In questo il genio di Hugo ha visto chiaro, e il vescovo Bienvenu de I Miserabili è il nostro modello. È lui a cominciare. E non è affatto giusto aspettare che siano gli altri a cominciare. Contro la menzogna, la buona fede; contro il furto, la fiducia. Non è affatto poco, e anzi togliere agli altri la scusa che essi sanno così abilmente ricavare dalla nostra prudenza è carità nel senso pieno del termine. Allorché si dà per inteso di non credere mai a ciò che dice, lo scolaro diventa bugiardo come per una sorta di contratto. In questi casi provate dunque a usare un po’ di quella che, del tutto a proposito, è chiamata buona fede, quella che crede che l’altro sia buono. E se non si può farlo sempre, non chiamate col bel nome di giustizia ciò che è soltanto difesa e precauzione.
Non è tutto già detto. Ci sarebbe una sorta di egoismo nel salvarsi da soli. Questo rifiuto è l’inizio della severità. Qui però compare un altro giudice, che potremmo chiamare il confessore. Questo giudice non persegue l’ingiusto; è l’ingiusto a venire da lui, e non per denunciare un altro ingiusto (non verrebbe ascoltato), ma per chiedere soccorso e consiglio contro la propria ingiustizia. Dico confessore, ma è chiaro che l’amicizia può trovarsi in presenza dello stesso dovere. Il bambino non smette di chiedere consiglio contro se stesso neppure quando non vi sta tendendo che una prova di scrittura o di calcolo. Allora la severità discende dalla giustizia. Per esempio, se, una volta divenuto Monsieur Madeleine, Jean Valjean potesse chiedere consiglio al vescovo nel momento in cui si trova ad affrontare il caso di coscienza in cui si domanda se lascerà che un innocente sia condannato, sappiamo bene cosa risponderebbe quel dolce vescovo: senza forzarlo neppure minimamente, perché l’atto volontario e libero è l’unico che abbia valore. Così, in quest’altra funzione, cioè quella di giudice, è il colpevole a perseguire il giudice e a fissare personalmente la propria pena. Attraverso questo giro, anche il migliore degli uomini, quello più profondamente indulgente, si ritrova a essere anche il più severo, chiedendo all’altro di volere e insomma di essere uomo, ciò che è chiedere molto.
È questo il gioco messo in atto dai veri poteri, quelli che ottengono rispetto. Ogni malefatta finisce così per essere considerata nociva solamente per colui che l’ha commessa. Il medico dell’anima si rifiuta sempre di forzare, perfino se l’altro lo prega di farlo: cerca infatti l’uomo libero e non vuole nient’altro. In breve, l’unico rimedio è la buona volontà, e non c’è modo di esigere la buona volontà. Si delinea così il potere spirituale, benché spesso camuffato sotto residui di forza quali l’inferno, la potenza divina e altri accessori. La vera potenza spirituale è il luogo della grazia. Perché nell’uomo maneggiato da un vero confessore si produce un’illuminazione. L’uomo percepisce che il suo capitale di onestà è intatto: accusato, eccolo messo al posto del giudice. Questi bei segreti sono stati raramente portati alla luce. Perché un uomo si trovi rigenerato e purificato è sufficiente questa riflessione: «Perché lo voglio». E questo tipo di miracolo si produce attraverso un ribaltamento del giudizio interiore e attraverso una speranza in sé che appare come in una nuvola. Ciò che si libera poco a poco da questi nembi è un padrone che non ama sapere, indovinare, che rifiuta ogni potere e ogni punizione. Per esempio, a chi vuol guerra non c’è nulla da dire. Ma a chi si lamenta dicendo: «Voglio pace e faccio guerra: spiegatemi un po’ questa cosa», a questi c’è molto da dire.
6 agosto 1927
[tratto da Alain, Minerve ou de la sagesse, Paul Hartmann, Paris 1946, pp. 145-148; pubblicato per la prima volta in «La Lumière», 6 agosto 1927; riprodotto anche in Alain, Propos, II, texte établi, présenté et annoté par Samuel de Sacy, Gallimard, Paris 1970, pp. 692-694. Traduzione di Giacomo Corazzol. Il titolo è redazionale]
Postilla. Polizia e morale: due tasti dolenti nell’Italia di oggi. Polizia. Si dice: gli italiani non hanno più fiducia nella Magistratura e nelle Istituzioni (il buffet dei luoghi comuni è imbandito: mancanza di controlli e di tutele, processi troppo lunghi, incertezza della pena). Quanto alla morale, i costumi sono corrotti e, ciò che è peggio, modelli e figure esemplari scarseggiano: le persone che per ruolo e posizione dovrebbero incarnare quei modelli si mostrano noncuranti e, a volte, contravvengono alle stesse regole che dovrebbero tutelare. Un bel problema. Perché se l’unico modo per correggersi è seguire dei modelli esemplari e questi mancano, il malcostume è destinato necessariamente a perpetuarsi e qualsiasi possibilità di fermare il degrado è rimossa. Una discesa senza panorama. Ma sarà proprio così? Alain indica un rimedio a portata di mano. (g.c.)