di Marco Toscano
Nuovo appuntamento con le letture del nostro amico Marco Toscano intorno alla prima guerra mondiale, e alla guerra in generale.
Cari di storiAmestre,
mentre si avvicinano i giorni d’estate in cui cento anni fa gli strilloni annunciavano nelle città europee le mosse dei governi che esibivano i muscoli tra ondate di entusiasmo patriottico, mi capita di pensare alle scene di un dramma che negli stessi momenti Karl Kraus cominciò a pubblicare a Vienna nella sua rivista satirica Die Fackel (La fiaccola), e che dopo un certo numero di puntate intitolò Da una tragedia: “Gli ultimi giorni dell’umanità”. Sogno angoscioso. Fine di un atto. Kraus continuò a lavorare al dramma fino alla pubblicazione in volume, sotto il titolo Gli ultimi giorni dell’umanità, nel 1922.
Nella Premessa al libro, Kraus parla degli anni di guerra come “di quegli anni irreali, inconcepibili, irraggiungibili da qualsiasi vigile intelletto e conservati soltanto in un sogno cruento, di quegli anni in cui personaggi da operetta recitarono la tragedia dell’umanità”. Era una storia senza eroi. Quanto all’autore, che invece di impazzire aveva “superato a mente sana la testimonianza di quegli avvenimenti”, egli manifestava ai posteri “la vergogna di una tale partecipazione”, mentre ai contemporanei “i quali hanno permesso che le cose qui descritte accadessero” chiedeva di posporre “il diritto di ridere al dovere di piangere”. Kraus diceva di essersi limitato a riportare fatti reali: “ho dipinto ciò che altri si sono limitati a fare”. I più inverosimili dei discorsi erano citazioni, le frasi più crude erano frasi fatte, le persone “vissute al di sotto dell’umanità” erano “riprodotte in ombre e marionette”, in “maschere del tragico carnevale”. Sperando che la confessione “della colpa di appartenere a questa umanità” potesse essere utile, Kraus concludeva richiamando i versi di Orazio che diceva di raccontare “azioni sanguinose e innaturali, / e casuali giudizi e un cieco uccidere: / morti da forza e astuzia provocate / e piani che, falliti, poi ricaddero / su chi li escogitò”. Quello che era accaduto a Vienna non era “una faccenda locale”, avvertiva Kraus: anche il più piccolo episodio capitato all’angolo della strada era governato “da un punto di vista cosmico”.
Ho cercato in un libro così voluminoso, di oltre settecento pagine, un solo brano, e ho scelto una scena che, come vedremo in altre letture, capitò in tutti i paesi in guerra. La folla individua un traditore, in questo caso un barbiere serbo, gli distrugge la bottega e lo costringe a fuggire; due storici che assistono all’episodio commentandolo alla luce della superiorità del “nostro popolo” nei confronti della “plebaglia francese o inglese” devono a loro volta scappare perché scambiati anch’essi per traditori – serbi, ebrei, balcanici…
Allo scoppio della guerra Karl Kraus (1874-1936), di famiglia benestante ebraica austriaca, aveva quarant’anni: sarebbe rimasto a Vienna fino alla fine della vita. Nel 1934 sostenne il cancelliere Dollfuss nella speranza che potesse impedire l’ascesa del nazismo: in quell’occasione alcuni suoi amici, come Elias Canetti che fino ad allora lo considerava suo maestro, ruppero con lui. Kraus morì due anni dopo.
Ringraziandovi come sempre, vi saluta il vostro
Marco Toscano
Davanti a una bottega di barbiere, di Karl Kraus
Scena sesta. Davanti a una bottega di barbiere nella Habsburgergasse. Una folla in subbuglio.
FOLLA. Abbasso! Spaccate tutto!
UNO (che tenta di calmare gli animi). Ma state a sentire, quell’uomo non ha fatto niente! Quello del negozio accanto, quello che vende violini, ce l’ha con lui…
LIUTAIO (arringa la folla). Abbasso! Spaccate tutto! Si è permesso un apprezzamento offensivo! Contro un alto personaggio! L’ho sentito io stesso, testimonianza autografa!
IL BARBIERE (torcendosi le mani). Sono innocente… sono barbiere della Real Casa… quando mai mi verrebbe in mente…
SECONDO DELLA FOLLA. Si capisce dal nome che è un serbo, sbattetegli le bacinelle sulla crapa…
TERZO. Fategli una bella insaponata! A morte! A morte il tagliagole serbo!
LA FOLLA. A morte!
La bottega viene distrutta. All’angolo appaiono conversando gli storici Friedjung e Brockhausen.
BROCKHAUSEN. Proprio oggi, sulla “Presse”, ho portato il mio contributo a questo tema, con un’osservazione ben centrata che respinge a priori e con logica stringente il paragone tra il nostro popolo e la plebaglia francese o inglese. Forse, caro collega, il passo le potrà tornare utile per il suo lavoro, glielo metto a disposizione, stia a sentire: «Quel principio che consolava e rianimava le persone dotate di cultura storica, conclusione finale di ogni studio della storia, ossia che la barbarie non finirà mai col trionfare, ebbene, questo principio si è comunicato come per istinto alla massa, Nelle strade di Vienna non si è mai sentito lo stridulo schiamazzo di patriottici urrà di bassa lega. Non è mai avvampato, qui, il fugace fuoco di paglia di un effimero entusiasmo. Fin dall’inizio della guerra, questo antico Stato germanico ha fatto proprie le più belle virtù popolari tedesche: la fiducia in se stesso e la profonda fede nella vittoria della giusta e santa causa». (Gli porge il ritaglio.)
FRIEDJUNG. Considerazione davvero eccellente, caro collega, che coglie nella i e mette i puntini sul segno. Ne terrò conto ad notam. Guarda, guarda… ci si presenta subito un esempio! Una folla infiammata di patriottismo che sfoga con misura i propri sentimenti, suaviter in re, fortiter in modo, come si conviene alla tradizione viennese. […]
[…]
GRIDA DELLA FOLLA. «L’abbiamo ben pestato!»… «Fatelo fuori!»… «Cane d’un serbo infido!»… «Ora può andare a rasare i serbi con i cocci!»… «Questa spugna la porto alla mia vecchia!»… «Ho messo in salvo tutti i profumi!»… «Passamene un paio!»… «Gesummaria, che bel camice bianco!»… «Dài, prestami uno spruzzatore!»… «Dio maledica l’Inghilterra!»… «Quel tipo se l’è svignata!».
LIUTAIO. Ve l’avevo detto io! Quello lì è un traditore!
BROCKHAUSEN. La folla è eccitata e con ragione crede di aver scoperto altre mene di traditori serbi.
FRIEDJUNG. È straordinario quanto fiuto e sensibilità dimostra il popolo di fronte alla sicurezza patrimoniale delle monarchie e nei paesi rappresentati nel Parlamento imperiale. Sbaglierei di grosso se nella bottega di quel barbiere non si trovassero i documenti della congiura serba dello Slovensky Jug che io misi in luce già nell’anno 1908.
BROCKAUSEN. Solo la forma mi rende un po’ perplesso.
FOLLA. Scovatelo! Un fracco di botte! A morte la Serbia!
FRIEDJUNG. Sarebbe forse consigliabile, caro collega, di fronte a quel liutaio giustamente infuriato, girare alla larga da questa evidente smentita del fatto storicamente accertato che la gente di Vienna respinge lo stridulo schiamazzo dei patriottici urrà di bassa lega…
GRIDA DELLA FOLLA. «Cosa vogliono quei due ebrei là?»… «Hanno l’aria anche loro di venire dai Balcani!»… «Gli manca solo il caffetano!»… «Sono serbi!»… «Due serbi!»… «Traditori!»… «Addosso!».
I due storici si dileguano in un androne.
Nota. Tratto da Karl Kraus, Gli ultimi giorni dell’umanità. Tragedia in cinque atti con preludio ed un epilogo, edizione italiana a cura di Ernesto Braun e Mario Carpitella con un saggio di Roberto Calasso, Adelphi, Milano 1996 (prima edizione 1980), pp. 89-91; la Premessa alla pp. 9-11. (m.t.)
Le puntate precedenti:
10. Jaroslav Hašek, Quale Ferdinando, signora Müller?
9. Virginia Woolf, Togliere dai cuori degli uomini l’amore delle medaglie e delle decorazioni
8. La rivolta della Catanzaro, da Plotone di esecuzione
7. Emilio Lussu, Un episodio di decimazione
6. Corina Corradi, La scena si faceva sempre più spaventosa
5. Helena M. Swanwick, Il senso dell’onore è causa di guerre
4. Romain Rolland, Ciascuno ha il suo Dio e combatte quello degli altri
3. Guglielmo Ferrero, Cesarismo, burocrazia, esercito
2. Bertha von Suttner, La storia insegna l’ammirazione per la guerra