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Avvisi per i posteri. Dalla Prima guerra mondiale. 4

29/05/2014

di Marco Toscano

Quarto appuntamento con le letture del nostro amico Marco Toscano intorno alla prima guerra mondiale, e alla guerra in generale.

Cari di storiAmestre,

per la quarta lettura, ho preso dallo scaffale il romanzo di Romain Rolland, Al di sopra della mischia (Au-dessus de la mêlée nell’originale), premio Nobel per la letteratura nel 1915, e non so decidermi a scegliere un brano per la mia scheda, tante sono le pagine che mi colpiscono. Il libro è una raccolta degli articoli e degli scritti di Rolland contro la guerra nei primi mesi del conflitto: le edizioni Avanti! lo tradussero e pubblicarono in italiano l’anno dopo. 

Allo scoppio della guerra Rolland si trovava a Ginevra, in un paese neutrale: francese, fu accusato di tradire la propria nazione e di farsi portavoce della Germania, per di più al riparo dalle brutalità dell’esercito germanico. Un pamphlet pubblicato in Francia aveva questo titolo: Romain Rolland contro la Francia. I giornali francesi scrivevano di lui: «Rolland parla e la Francia combatte», «L’unico francese neutrale» e così via. Quando vinse il Nobel, un giornale scrisse: «Quest’anno, il premio Nobel non sarà di duecentomila franchi, ma di trenta denari, visto che è Romain Rolland ad averli. Trenta denari non son forse il prezzo che i farisei diedero all’apostolo che aveva consegnato il suo Dio?».

Ecco cosa scegliere per la mia scheda: uno dei passi in cui Rolland denuncia il tradimento degli intellettuali, e in primo luogo del cristianesimo e del socialismo, nei confronti dei valori umanistici e universali, e cioè in nome della patria.

Aggiungo solo che Rolland decise di devolvere il denaro del premio alla Croce Rossa; e che durante la guerra, accanto a una infaticabile campagna antimilitarista, s’impegnò attivamente nell’Agenzia Internazionale dei Prigionieri di guerra, che aveva sede a Ginevra. 

Vi saluta il vostro

Marco Toscano

Ciascuno ha il suo Dio e combatte quello degli altri, di Romain Rolland

L’aspetto più impressionante di questa mostruosa epopea, il fatto senza precedenti è, in tutti i paesi belligeranti, l’unanimità in favore della guerra. […] Nell’élite di ciascun paese, tutti proclamano e sono convinti che la causa del loro popolo è la causa di Dio, della libertà e del progresso umano.

I metafisici, i poeti, gli storici […] cantano inni di guerra; […] intonano peana d’odio. Mentre l’organo passa da una fuga di Bach a Deutschland über alles! l’ottantaquattrenne filosofo Wundt incita gli studenti di Lipsia alla “guerra sacra” con voce rotta dall’emozione. E tutti reciprocamente chiamano gli altri “barbari”. Per bocca del suo presidente Bergson, l’Accademia delle scienze morali di Parigi dichiara che “la lotta intrapresa contro la Germania è la lotta della civiltà contro la barbarie”. Attraverso Karl Lamprecht, gli storici tedeschi rispondono che “si combatte la guerra tra il germanesimo e la barbarie, e le battaglie di oggi sono il proseguimento di quelle combattute dalla Germania, nel corso dei secoli, contro gli Unni e contro i Turchi”. Dopo la storia, scende in lizza la scienza, che, tramite il direttore del Museum, E. Perrier, dichiara che i prussiani non appartengono alla razza ariana e discendono in linea diretta dagli uomini dell’età della pietra chiamata Allofili e che “il cranio moderno la cui base, riflesso del vigore degli appetiti, meglio ricorda il cranio dell’uomo fossile di Chapelles-aux-Saints, è quello del principe di Bismarck”.

Ma le due potenze morali di cui questa guerra contagiosa ha maggiormente svelato la debolezza, sono il cristianesimo e il socialismo. Questi apostoli rivali dell’internazionalismo religioso o laico hanno improvvisamente dimostrato di essere i più ardenti nazionalisti. Hervé chiede di morire per la bandiera di Austerlitz. I puri depositari della dottrina pura, i socialisti tedeschi, votano i crediti di guerra al Reichstag, si mettono agli ordini del ministero prussiano, che utilizza i loro giornali per diffondere fin nella caserme le sue menzogne e li spedisce come agenti segreti a tentar di corrompere il popolo italiano. [..]

Per quanto riguarda i rappresentanti del Principe della Pace, preti, pastori, vescovi, li vediamo correre tutti verso la mischia e mettere in pratica, con il fucile in pugno, le parole divine: “Non ammazzare” e “Ama il prossimo tuo”. Ogni bollettino vittorioso degli eserciti tedeschi, austriaci o russi, ringrazia il maresciallo Dio: unser alter Gott, il nostro Dio, come dicono Guglielmo II o Arthur Meyer. Ciascuno ha il suo Dio; e ogni Dio, vecchio o giovane, ha i suoi leviti che lo difendono e abbattono il Dio degli altri.

Ventimila preti francesi sono sotto le armi. I gesuiti offrono i loro servizi agli eserciti tedeschi. I cardinali lanciano pastorali bellicose. I vescovi serbi dell’Ungheria spingono i fedeli a combattere contro i loro fratelli della Grande Serbia. Senza stupirsene, i giornali riportano la paradossale scena dei socialisti italiani che acclamano, alla stazione di Pisa, i seminaristi in partenza per raggiungere i loro reggimenti, e tutti insieme cantano la Marseillaise. Il ciclone è tanto forte che li travolge tutti […].

Orsù, riprendiamoci! Qualunque sia la natura e la virulenza del contagio – epidemia morale o forze cosmiche –, non è possibile resistergli? Si combatte una pestilenza, si lotta addirittura per evitare i disastri del terremoto. O invece ci inchineremo davanti a essi, soddisfatti, come l’onorevole Luigi Luzzatti nel suo famoso articolo Nel disastro universale, le patrie trionfano? Ci assoceremo a lui per comprendere che “questa grande e semplice verità”, l’amor di patria, è buono ed è bene che “si scateni il demone delle guerre internazionali, che stroncano migliaia di esseri”? Così, l’amor di patria potrebbe fiorire soltanto sull’odio per le altre patrie e sul massacro di coloro che le difendono? In questa proposizione c’è una feroce assurdità e un dilettantismo neroniano che mi ripugnano, che mi sconvolgono nel profondo del mio essere. No, l’amore della mia patria non esige che io nutra odio e uccida le anime pie e fedeli che amano le loro patrie, esige che io le onori e cerchi di unirmi con loro per il bene comune. 

Per consolarvi di tradire gli ordini del vostro Maestro, voi cristiani dite che la guerra esalta le virtù del sacrificio […]. Ma la dedizione di un popolo non può servire a niente di meglio che alla rovina degli altri popoli? E non è possibile sacrificarsi, o cristiani, senza sacrificare con sé il prossimo? […] Cristiani dei giorni nostri, non sareste stati capaci di rifiutare i sacrifici agli dei della Roma imperiale. Il vostro papa, Pio X, è morto di dolore, si dice, vedendo scoppiare questa guerra. E c’era di che morirne! Il Giove del Vaticano, prodigo di folgori contro gli inoffensivi sacerdoti tentati dalla nobile chimera del modernismo, che cosa ha fatto contro i prìncipi e contro i capi criminali che, smisurata ambizione, hanno scatenato la miseria e la fame sul mondo! Che Dio suggerisca al nuovo pontefice giunto sul trono di San Pietro le parole e gli atti per purificare la Chiesa da quel silenzio!

Quanto a voi, socialisti, ciascuno dei quali pretende di difendere la libertà contro la tirannide (i francesi contro il Kaiser, i tedeschi contro lo Zar), è forse il caso di battersi per la difesa di un dispotismo contro un altro dispotismo? Combatteteli tutti e due e fate blocco tra voi!

Non esisteva alcuna ragione per giungere a una guerra fra i popoli occidentali: fratelli di Francia, fratelli d’Inghilterra, fratelli di Germania, a dispetto di quanto ripete una stampa avvelenata da chi ha interesse ad alimentare i rancori, noi non ci odiamo. Io vi conosco, e conosco noi: i nostri popoli chiedevano soltanto la pace e la libertà. La tragica caratteristica della guerra – come potrebbe vedere chi si trovasse al centro della mischia e potesse guardare, dagli altipiani della Svizzera, tutti i campi nemici – consiste nel fatti che ciascun popolo è veramente minacciato nei suoi beni più cari, nella sua indipendenza, nel […] suo onore e nella sua vita. Chi li ha ridotti alla disperata necessità di schiacciare l’avversario o di morire? Chi, se non i loro Stati […]. Il peggior nemico non è al di là delle frontiere, ma all’interno di ogni nazione, e nessuna di esse ha il coraggio di combatterli.

Nota. Tratto da Romain Rolland, Al di sopra della mischia, Fratelli Fabbri, Milano 1965, pp. 128-133, nella traduzione di Edmondo Aroldi (prima ed. Edizioni Avanti!, Milano 1916). Le citazioni nella premessa al brano in Gunnar Ahlström, Il conferimento del premio Nobel a Romain Rolland, ibid., pp. 15-16 (lo scritto alle pp. 7-22); si veda anche Enzo Giudici, La vita e l’opera di Romain Rolland, ibid., pp. 25-100. (m.t.)

Le letture precedenti:

3. Guglielmo Ferrero, Cesarismo, burocrazia, esercito

2. Bertha von Suttner, La storia insegna l’ammirazione per la guerra

1. Kurt Tucholsky, Una lettera ai posteri

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Interazioni del lettore

Commenti

  1. Giacomo dice

    29/05/2014 alle 10:42

    Ora capisco perché (o, almeno, uno dei motivi per cui) Alain non apprezzava Henri Bergson.

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