di Marco Toscano
Secondo appuntamento con le letture del nostro amico Marco Toscano intorno alla prima guerra mondiale, e alla guerra in generale.
Cari di storiAmestre,
pensando alla presenza del pacifismo prima del 1914, ecco un romanzo che ebbe un enorme successo in tutta Europa in quel periodo, tanto da far vincere il premio Nobel per la pace alla sua autrice nel 1905. Bertha von Suttner era nata a Praga, allora asburgica, da un feldmaresciallo austriaco. Visse a Parigi, sposò il barone von Suttner contro la volontà della famiglia e visse con lui nel Caucaso prima di essere riaccettata dalla famiglia e stabilirsi in Austria. Il suo romanzo Die Waffen nieder! (Abbasso le armi!), uscito nel 1889, fu tradotto in sedici lingue: solo in Germania ebbe quasi quaranta edizioni. L’autrice morì a settant’anni nel giugno 1914, una settimana prima dell’attentato di Sarajevo, convinta che lo spirito militare stesse scomparendo. Ma non era solo una sua opinione: era un modo di pensare comune. L’idea sottostante al romanzo è infatti che la guerra e lo spirito militare appartengono all’infanzia dell’umanità, e cessano con il progredire della civiltà, cioè in quel mondo in cui la baronessa von Suttner, e altrettanto i suoi lettori, era convinta di vivere. A Londra era stata istituita fin dal 1880 un’Associazione internazionale per l’Arbitrato e la pace: disarmo degli Stati, fratellanza tra i popoli, arbitrato internazionale in casi di conflitto. Bertha von Suttner ci credeva: le sembrava una buona soluzione.
L’incipit del romanzo, da cui riprendo questa scheda, è una denuncia del modo con cui i libri di storia glorificano le vicende belliche, facendo in modo che «tutto ciò che appartiene alla rubrica “guerra” non è più considerato dal punto di vista dell’umanità, e acquista una speciale consacrazione mistico-storico-politica». Queste pagine individuano in altre parole le cause del militarismo e della guerra nell’educazione della gioventù e nell’insegnamento della storia: ancora una volta parlano di noi.
Marco Toscano
La storia insegna l’ammirazione per la guerra, di Bertha von Suttner
A diciassette anni ero una personcina veramente esaltata: cosa che oggi non potrei più sapere se non avessi conservato i fogli del mio diario. […]
Pare che non fossi così soddisfatta della mia sorte, se in essi trovo scritto: “Giovanna d’Arco, eroica vergine, benedetta dal cielo, potessi essere anch’io come te! Sventolare l’orifiamma, coronare il mio re e poi morire, morire per la patria, l’amata patria!” […]
Ricordo che il più alto concetto della grandezza umana mi sembrava personificato nell’eroismo guerresco. Nutrivo, non lo nego, una certa stima per gli scienziati, i poeti, gli esploratori, ma sentivo vera ammirazione solo per i vincitori di battaglie. Erano questi, soprattutto, le colonne della storia, i reggitori dei popoli: erano, per importanza e direi quasi per carattere divino, elevati sopra gli altri uomini, come le più alte come delle Alèi e dell’Himalaya sopra l’erba e i fiori delle valli.
[…] Mio papà, generale dell’esercito austriaco, aveva combattuto a Custoza ai comandi del “padre Radetzky”, che lui idolatrava.
Quanti aneddoti di guerra mi toccò sentire raccontare! […]
La storia! È proprio la storia, così come viene insegnata ai giovani, a suscitare l’ammirazione per la guerra. S’imprime nella mente dei ragazzi che il Signore degli eserciti vuole continue battaglie: che queste sono, per così dire, il veicolo che trascina attraverso il tempo i destini dei popoli: che esse sono l’adempimento di un’inevitabile legge di natura e devono quindi fatalmente succedere, come le tempeste e i terremoti: che gli orrori e lo spavento da cui esse sono accompagnate sono ampiamenti compensati dall’importanza dei risultati per la società in generale, e per l’individuo dalla gloria oppure dalla coscienza di aver adempiuto il più sublime dei doveri. Vi è forse una morte più bella che quella sul campo dell’onore, un’immortalità più nobile di quella dell’eroe?
Ciò risulta chiaro ed unanime da tutti i manuali e i libri di lettura ad “uso scolastico”, dove, accanto alla storia propriamente detta, rappresentata soltanto come una lunga catena di avvenimenti bellici, anche i racconti più svariati e le poesie non sanno riferire che eroici fatti d’armi.
Questo è proprio, si sa, del sistema di educazione patriottica. Siccome di ogni scolaro si deve fare un difensore della patria, allora si deve anche suscitare l’entusiasmo del ragazzo per questo suo primo dovere di cittadino. È necessario fortificare il suo spirito contro l’innata avversione che gli orrori della guerra possono provocare, e mentre si parla con la massima naturalezza di orribili stragi e di spaventose carneficine come di cose fra le più naturali e necessarie del mondo, si ferma l’attenzione soltanto sul lato ideale di questo antico costume dei popoli, riuscendo in tal modo a formare una razza battagliera e coraggiosa.
Le ragazze, benché non debbano andare in guerra, sono istrutte con gli stessi libri fatti per questa generazione di ragazzi soldati, e così nasce nella gioventù femminile lo stesso concetto, che genera nel loro cuore una forte invidia di non poter fare altrettanto ed un’esagerata ammirazione per ciò che riguarda le armi.
È davvero uno spettacolo piacevole vedere delle ragazze gentili, peraltro educate alla carità e alla dolcezza, essere invitate ad assistere a tutte quelle guerre antiche e moderne, da quelle bibliche, macedoniche e puniche fino a quelle dei Trent’anni e di Napoleone, e a contemplare le città incendiate, gli abitanti passati a fil di spada, i vinti torturati!
È naturale che da questo cumulo e da questa riproposizione continua di orrori il concetto dei medesimi venga attutito […]. Esso deve essere, anzi è, la sorgente del più alto merito e del massimo onore e le ragazze lo comprendono anch’esse benissimo, poiché hanno dovuto imparare a memoria le poesie e i discorsi che glorificano la guerra. E così è da lì che vengono fuori le madri spartane, le madrine di bandiere e le innumerevoli decorazioni distribuite agli ufficiali durante il cotillon.
Nota. Tratto da Bertha von Suttner, Abbasso le armi! Storia di una vita, a cura di Giuseppe Orlandi, prefazione di Laura Tirone, Centro Stampa Cavallermaggiore, Cavalermaggiore 2013, pp. 5-9 (prima trad. it Treves, Milano 1897). La traduzione è “fondamentalmente” quella dell’edizione Treves, corretta e riveduta alla luce dell’originale (Nota al testo, ibid., p. XVII). Una raccolta di scritti in italiano di Bertha von Suttner in Giù le armi! Fuori la guerra dalla storia, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1989. (m.t.)
(Per leggere la prima lettura di Marco Toscano, cliccare qui. Ndr)
Lia Botter dice
Grazie per questi “Avvisi per i posteri”, che seguo con molto interesse. Marco Toscano scrive che la baronessa Suttner morì «una settimana prima dell’attentato di Sarajevo, convinta che lo spirito militare stesse scomparendo». Da quanto si sa, molti pensavano che quella fosse la sua opinione, ma non è così sicuro. Alfredo H. Fried, premio Nobel per la pace, fece infatti visita a Romain Rolland il 1 settembre 1915 e tra le altre cose gli parlò della baronessa Suttner. Rolland annota nel suo diario: «Non dice, come tanti altri: “È una fortuna per lei che sia morta prima della guerra”. Gli spiace che non l’abbia vista, perché ella la prevedeva, la prediceva, e nessuno voleva crederle, compreso Fried» (R. Rolland, “Diario degli anni di guerra 1914-1919”, traduzione di Giovanna Bonchio, Parenti, Milano-Firenze 1960, I, p. 405). Quindi, ben pochi in Europa pensavano seriamente all’eventualità della guerra, come dimostrano anche le parole di Fried: quanto alla baronessa Suttner però, non è detto. Un caro saluto, Lia Botter