di Lucio Sponza
Pubblichiamo il testo dell’intervento che Lucio Sponza ha tenuto in occasione del terzo “spunti-no storico” di storiAmestre, edizione autunno 2013. Vista la sua lunghezza, ne presentiamo qui di seguito solo il primo paragrafo e la nota archivistica-bibliografica; chi volesse leggere il testo integrale, può scaricarlo in formato pdf cliccando qui.
Saranno tre, invece di due, le modalità della propaganda e la terza possiamo chiamarla “in grigio”, per rimanere nei termini cromatici del titolo. La prima, quella arcinota, è costituita dalle trasmissioni di Radio Londra; la seconda, quella “in nero”, è la propaganda clandestina; la terza, quella che utilizzava i prigionieri di guerra italiani sia come mezzo che come fine della propaganda (in “grigio-verde”?).
Radio Londra
La prima trasmissione in italiano fu effettuata dalla BBC (British Broadcasting Corporation) alla fine di settembre del 1938, subito dopo l’incontro a Monaco di Baviera dei “quattro grandi”. Non era un privilegio dell’Italia: furono iniziate anche trasmissioni per la Germania e per la Francia, nelle rispettive lingue. Che fosse coinvolta anche la Francia suggerisce che questi programmi non avessero tanto scopi di propaganda quanto di informazione. (Sul rapporto tra propaganda e informazione non è qui il caso di intrattenerci).
Le trasmissioni consistevano di un notiziario serale di una decina di minuti e per la sezione italiana coinvolsero inizialmente due annunciatori-traduttori e un traduttore. Uno dei primi due era Tony Lawrence: nato a Londra da genitori italiani (il suo vero nome era Antonio Lorenzo Lupari), si era laureato in italiano e francese a Cambridge nel ’37. Intorno a lui crescerà la sezione italiana – erano in dieci quando l’Italia entrò in guerra, e dopo altri due anni arrivarono a trentotto.
Nella primavera del ’39 fu assunto Aldo Cassuto, giornalista triestino e rifugiato politico, che fra gli italiani ebbe il compito di maggiore responsabilità nel corso della guerra: quello di scrivere i commenti sulle vicende del giorno che venivano letti dal Colonnello Harold Stevens (madre napoletana dalla quale aveva ereditato una inflessione partenopea). Nel novembre del ’39 entrò nella sezione italiana Uberto Limentani – un giovane avvocato, rampollo della buona borghesia ebraica di Milano, da pochi mesi arrivato in Inghilterra (dopo aver conseguito una seconda laurea, in lettere).
Quando il nostro paese entrò in guerra molti italiani (maschi) che vivevano nel Regno Unito furono internati e circa 700 imbarcati su una nave per essere deportati in Canada. La nave fu affondata da un sommergibile tedesco e la maggior parte di loro perirono. Fra i superstiti c’era Limentani, che su quella vicenda scrisse un illuminante rapporto per le autorità britanniche e che poco dopo riprese la sua attività alla BBC; la quale intanto aveva di molto ampliato le trasmissioni per l’Italia, sia per frequenza che per durata.
Altri italiani internati e liberati prima della fine del 1940 si unirono alla sezione, dopo essere stati riconosciuti come antifascisti (anche se nel caso di alcuni ebrei, questa connotazione era stata inizialmente più dovuta a necessità che a virtù). Alcuni erano già personalità di spicco, altri lo diventarono; fra i primi c’erano Paolo e Piero Treves, figli del vecchio leader del Partito Socialista, Claudio Treves (che era morto a Parigi nel 1933) e Umberto Calosso, un socialista che aveva combattuto in Spagna e che nel dopoguerra sarebbe diventato deputato per il partito socialdemocratico; fra i secondi, l’avvocato Elio Nissim, autore dell’arguta e divertente rubrica “L’Omo Qualunque”, che lui stesso leggeva con il suo marcato accento fiorentino (di cui era orgoglioso), e Candidus – pseudonimo di John Joseph Marus – nato a Londra da genitori friulani, ritornato ancora giovane in Italia fu giornalista antifascista e per questo scontò 9 mesi di prigionia, prima di ritornare in Inghilterra alla vigilia della guerra. A lui era affidata la rubrica più direttamente aggressiva nei confronti del fascismo. C’erano anche due veneziani – Mario Forti e Massimo Coen – e il triestino Lino Zeno-Zencovich.
I coordinatori di Radio Londra erano inglesi e ogni loro iniziativa doveva essere approvata – a volte dopo lunghe discussioni – dal governo. Responsabile di tutta la propaganda era (dal 1941) il Political Warfare Executive (PWE) che per questa attività rispondeva a tre ministeri: il Foreign Office, il Ministry of Information e il Ministry of Economic Warfare. Il Colonnello Stevens era il “Regional Head for Italy”.
Le prime direttive sulla propaganda verso l’Italia risalgono al settembre 1940. Nella premessa si diceva che lo scopo principale era di suscitare uno stato d’animo contrario alla guerra e disfattista, prospettando una lunga durata delle ostilità. Si distinguevano quattro categorie di intervento:
1) «Anti-regime» – con il presupposto che «the majority of Italians are anti-Fascist», si doveva attaccare il fascismo e non gli italiani, evitando anche di criticare «the Royal Family»;
2) «Anti-Germania» – perché non c’era gran simpatia tra gli italiani e i tedeschi, i quali anzi erano temuti;
3) «Pro-Inghilterra» – perché alla maggioranza degli italiani gli inglesi invece non dispiacevano; ma era necessario contrastare due idee: che la Gran Bretagna fosse un paese decadente e che l’impero italiano non fosse compatibile con quello britannico;
4) «Chiesa e Stato» – occorreva puntare sul conflitto di appartenenza degli italiani sia allo stato fascista che alla comunità cattolica, sottolineando il neopaganesimo germanico, la difficile posizione della chiesa cattolica in Germania e quella dello stesso papa in un’Europa dominata dal nazismo.
In conclusione si indicavano due ordini di importanti suggerimenti:
1) «Ricordatevi che gli italiani hanno sete di informazioni equilibrate, dopo che per diciassette anni la verità è stata sistematicamente distorta. È perciò necessario dare loro i fatti in un contesto illuminante [illuminating background]».
2) «Tenete sempre in mente che gli italiani hanno un forte senso dell’umorismo; sono logici; sono gelosi; sono frivoli; sono melodrammatici – quindi, si aggiungeva, bisognava approfittare di questi tratti sia nel contenuto che nella forma di tutta la propaganda».
In queste direttive ebbero un ruolo importante un ex addetto-stampa dell’ambasciata britannica a Roma (Ion Munro) e un suo assistente (Gerald Sharp), che avevano reputazione di conoscere molto bene gli italiani. Ma qualche idea fu anche suggerita da un certo tenente-colonnello (H.M. Moran) che la comunicò, qualche tempo prima della stesura di quelle note, al governo. Nella sua lettera si legge:
«Al momento attuale è nei confronti della popolazione civile che dovremmo concentrare la propaganda, e soprattutto nei confronti delle donne. Si ricorderà che nel corso dell’ultima guerra [mondiale] le donne si buttavano sui binari ferroviari per impedire che portassero via i loro uomini. Le donne italiane amano mariti e figli molto più dello Stato […]. Bisogna anche rendersi conto di una importante verità: ci sono due Italie, quella dei fascisti attivi e quella della maggioranza della popolazione (molti hanno la tessera del partito ma non ne condividono lo spirito). […] Soprattutto, almeno per il momento, Mussolini non dovrebbe essere attaccato personalmente. È ancora amato da moltissime persone. L’obiettivo dovrebbe essere piuttosto il governo italiano. Più tardi si potrà attaccare violentemente Mussolini con storie di infinita varietà».
Forse quel «più tardi» arrivò con l’antivigilia di Natale di quel primo anno di guerra per l’Italia, quando Radio Londra mandò in onda un lungo messaggio di Winston Churchill agli italiani – presumibilmente letto in italiano dal Colonnello Stevens. Il primo ministro di Sua Maestà ricordava l’antica amicizia fra i due popoli, consolidata dal Risorgimento e dalla Grande Guerra, ma «ora ci facciamo la guerra; e ora siamo costretti a cercare la reciproca rovina». Subito dopo, però, aggiungeva che «i nostri eserciti stanno riducendo il vostro Impero africano in brandelli, e continueranno». Churchill non parlava a vanvera: proprio all’inizio di quel mese quasi 40mila soldati italiani erano stati catturati a Sidi el Barrani (in Egitto, vicino al confine con la Libia) e solo qualche settimana dopo se ne sarebbero arresi 130mila con le sconfitte di Bardia e Tobruk. E a questo punto Churchill sparava la carica grossa – e astuta:
«Italiani, vi voglio dire la verità. È tutta colpa di un uomo. Un uomo, un uomo solo, ha schierato il popolo italiano in lotta mortale contro l’Impero britannico, ha tolto all’Italia le simpatie e l’amicizia degli Stati Uniti d’America. Non nego che egli sia un grand’uomo; ma che dopo diciotto anni di poteri senza controllo abbia condotto la vostra Nazione all’orlo tremendo del precipizio, questo nessuno può negare. È un uomo, un uomo solo, il quale – contro la Corona e la Famiglia Reale italiana, contro il Papa, contro l’autorità del Vaticano e della Chiesa Romana, contro la volontà del popolo italiano che non voleva questa guerra – ha schierato gli eredi e depositari dell’antica Roma dalla parte della feroce barbarie dei pagani».
La Gran Bretagna, e lui stesso in particolare, aggiungeva Churchill, avevano fatto di tutto per evitare la catastrofe; come primo ministro aveva comunicato direttamente con il Duce – tutto inutile. E concludeva ribadendo la centralità del messaggio con alti toni profetici:
«Ecco a che punto un uomo, un uomo solo, vi ha ridotto. E qui lascio la storia incompiuta, fino a che non venga il giorno – ed il giorno verrà – in cui la Nazione italiana ancora una volta riprenda a foggiare da sé stessa i propri destini».
Alla sezione italiana della BBC arrivavano direttive settimanali, per adeguare la propaganda allo svolgersi degli avvenimenti. Nell’agosto del ’41 fu elaborato un documento di carattere generale, molto più articolato di quello del settembre precedente, e del quale mi limito a indicare i titoli dei due obiettivi e quelli delle modalità per conseguirli. Alla fine aggiungerò il suggerimento conclusivo – riveduto, rispetto a quello di quasi un anno prima.
Gli obiettivi erano:
A) «Fare in modo che gli italiani ci temano come nemici, ma che si rendano conto che i veri interessi del loro paese stanno nella vittoria delle nostre armi»;
B) «Spronarli ad agire per i loro interessi reali, stimolando la loro scarsa inclinazione a combattere una guerra prolungata per ordine di un Fascismo screditato, volto a perpetuare il dominio tedesco sull’Italia».
Le modalità per conseguirli erano sviluppate in nove parti:
1. «Scuotere il popolo italiano dal suo stato attuale di apatia»;
2. «Aprirgli gli occhi davanti all’enormità del tradimento fascista» (nel senso che la sovranità nazionale era di fatto passata nelle mani della Germania);
3. «Attribuire tutta la responsabilità a Mussolini»;
4. «Suscitare risentimento nei confronti della Germania, ma non la paura»;
5. «Rivelare le debolezze della Germania»;
6. «Sfruttare il significato degli aiuti americani» (e gli Stati Uniti sarebbero entrati in guerra nel dicembre di quell’anno);
7. «Rendere manifesta l’inevitabile vittoria dell’alleanza anglo-americana»;
8. «Indurre la fiducia che quello che diciamo è vero»;
9. «Far sì che il popolo italiano veda la giustizia della nostra Causa, identificandola con la Causa di una Italia libera in una libera Europa, in cooperazione con una libera America». (È interessante che solo a questo punto si facesse riferimento all’Unione Sovietica – peraltro indicata come “Russia”: e veniva chiarito che la Gran Bretagna era alleata di quel paese solo perché esso era stato attaccato dalla Germania, non perché gli inglesi sostenessero il comunismo.)
Il suggerimento conclusivo:
«Continuate a tener presente:
Che gli italiani hanno un forte senso dell’umorismo – specialmente del ridicolo; che sono logici; che sono gelosi; che sono suscettibili; che sono impressionabili; che non sono sentimentali, se non nei loro affari privati e di famiglia; che allora questo sentimento è una vera passione; la quale si esprime nella nostalgia della famiglia – e della pace che consente di godere la vita famigliare».
Queste direttive erano applicate anche a chi, pur non appartenendo al personale della sezione italiana, era invitato a contribuire con propri appelli e messaggi dai microfoni di Radio Londra. Un caso simile fu quello dei Free Italy Talks a partire dal marzo 1941. Il comitato «Italia Libera» era stato creato da Carlo Petrone, un rifugiato politico che aveva militato nel Partito Popolare. I suoi talks non durarono a lungo, perché ritenuti «monotoni e noiosi» (questo il giudizio di un funzionario del Foreign Office), ma altri componenti di «Italia Libera» presero il suo posto. (Per inciso, Petrone fu costretto a dimettersi da incarichi di responsabilità nel comitato «Italia Libera». Secondo Mario Forti «Henry Ford offre la sua automobile con la carrozzeria di un colore a scelta, purché sia nero. Petrone accetta antifascisti di tutte le tendenze, purché siano democristiani». E gli antifascisti cattolici in Inghilterra – è il caso di dirlo – erano delle mosche bianche.)
Queste rubriche inserite nelle trasmissioni di Radio Londra da parte di italiani antifascisti – di idee o di fatto – dovevano attenersi strettamente alle direttive del PWE, concordando con l’obiettivo generale di far conoscere agli italiani il punto di vista britannico. A una seconda fonte di propaganda verso l’Italia fu consentito di presentare le cose dal punto di vista italiano – ovviamente antifascista. Era il caso di Radio Italia e della propaganda “in nero”.
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Nota
I documenti citati sono tratti da fondi dei National Archives inglesi (varie buste del Foreign Office, FO). In particolare, il lungo documento di Ivor Thomas (Radio Italia – The First Year’s Work) si trova in FO 898/162; il testo del messaggio di Churchill agli italiani fu pubblicato come appendice in Pentad (pseudonimo), L’Italia di domani, Penguin Books, Londra 1941 [Sponza parla più diffusamente di questo libro nel secondo paragrafo del suo saggio; se ne trovano alcune copie nel sistema bibliotecario italiano; Ndr].
Sul “mito” di Radio Londra, si veda Gianni Isola, Radio Londra, in I luoghi della memoria. Simboli e miti dell’Italia unita, a cura di Mario Isnenghi, Laterza, Bari-Roma 1996, pp. 477-486; Peppino Ortoleva ha scritto che «“Radio Londra” rimase […], sino alla Liberazione, la più autorevole e probabilmente la più popolare fonte di informazione degli italiani», in Dizionario del Fascismo, a cura di Victoria de Grazia e Sergio Luzzatto, Einaudi, Torino 2003, vol. II, pp. 464-465.
Rupert Limentani dice
Vedi mio commento sul testo del resoconto di mio padre Uberto Limentani del naufragio della nave “Arandora Star”. Aggiungo su questa pagina che ho la raccolta completa dei circa 200 testi (dattiloscritti) trasmessi da mio padre a “Radio Londra” tra il 1939 e il 1945 e inoltre una rarissima registrazione originale e integrale di una sua trasmissione del settembre 1945, forse l’unica registrazione esistente, come mi è stato confermato dalla fonoteca della BBC a Londra, a cui ho fornito copia. Grazie. Rupert Limentani
manlio calegari dice
Molto interessante. Resta la curiosità per l'"illuminante rapporto di Limentani".