di Claudio Pasqual
Pubblichiamo l’intervento tenuto da Claudio Pasqual il 13 settembre 2013, presso la Casa del Volontariato di Mestre, in occasione dell’incontro Mestre per noi, legato alle iniziative del Settembre mestrino solidale.
1. Via Brenta Vecchia è una strada in pieno centro a Mestre, a nord incrocia via Poerio, al capo opposto incontra le testate delle vie Olivi, Costa, Cappuccina e Carducci, formando con esse un ampio crocicchio, denominato largo Madonna del Don.
A via Olivi procede vicinissima e quasi parallela, separata da un unico allineamento di edifici, che nelle costruzioni più vecchie del tratto sud, basse e strette, si assottiglia al punto che alcuni negozi e questa stessa Casa del Volontariato in cui ci troviamo questa sera hanno un ingresso su entrambe le vie e anche, caso affatto singolare, due numeri civici, 58 su Olivi e 41 su Brenta Vecchia. Per essere esatti, nella maggioranza dei casi su Brenta Vecchia prospetta la parte retrostante di edifici che hanno la facciata sull’opposta via Olivi.
2. Via Brenta Vecchia è una strada fatta in modo particolare. Breve, all’incirca 120 metri, e rettilinea ma a modo suo. Oggi la carreggiata è a una sola corsia, a senso unico di marcia da nord a sud, e affiancata da una pista ciclabile. A tre quarti del percorso verso via Carducci la strada fa una svolta a destra di novanta gradi e diventa via Pascoli, mentre la Brenta Vecchia prosegue come pista ciclabile e doppio marciapiede, restringendosi a imbuto e smettendo di andare diritta, per accennare una lievissima, quasi impercettibile serpentina finale, prima dello sbocco su via Carducci, angolo via Olivi.
La pista ciclabile, inaugurata nel marzo 2005, corre sul lato est della strada, quello dalla parte di via Olivi. È a doppio senso di marcia, con il fondo in asfalto dipinto di rosso. Dalla carreggiata la separa un filare di alberelli di acero alternati a eleganti lampioni a due bracci e a una teoria di sfere di metallo brunito solidamente fissate al suolo. 06, 07
La strada si trova nella Z.T.L. del centro, perciò transitano soltanto residenti e autorizzati e il traffico a motore è scarso. Dal settembre 2012 è stata installata una telecamera. Invece il passaggio delle biciclette è piuttosto intenso, perché Brenta Vecchia è un tratto della lunga pista ciclabile che collega sull’asse nord-sud Carpenedo a Marghera, attraversando tutta la città. Il marciapiede a lato corre al livello della pista e senza elementi divisori; e siccome a Mestre molti pedoni e ciclisti sono o indisciplinati o distratti, i reciproci sconfinamenti risultano frequenti e il rischio di collisioni è elevato. Meglio, per chi va a piedi, usare il marciapiede sul lato opposto, che è rialzato sul piano stradale e protetto dalla fila delle auto in sosta, consentita da questa parte, dai cassonetti della nettezza urbana e dalle campane della raccolta differenziata.
3. Nel tessuto edilizio di via Brenta Vecchia scorgiamo depositata una doppia stratificazione di forme architettoniche, che è il prodotto della sovrapposizione di due distinte fasi cronologiche e storiche della vita della città: in questo senso davvero la strada è esemplare dello sviluppo novecentesco di Mestre. Partendo da via Poerio, i primi edifici sul lato est – salvo il secondo, una costruzione non recente a un piano, scampata non si sa come all’abbattimento – sono quattro palazzi a quattro o cinque piani, con negozi a pianterreno, e risalgono agli anni Cinquanta e Sessanta, il periodo del boom edilizio di Mestre, quando in centro si demolì molta parte del vecchio per sostituirlo con il “moderno”. A questi seguono, senza soluzione di continuità, abbassando bruscamente il profilo dei tetti, sei edifici a schiera, due a due piani e quattro a un piano: per ciascuna tipologia, le costruzioni sono gemelle per forma, aspetto e dimensioni, ma poiché le due tipologie sono alternate, la linea dei tetti diventa un saliscendi, si spezza, si ingobbisce, si curva. Sono questi i fabbricati “antichi”, di fine Ottocento o inizio Novecento, il momento cioè in cui Mestre conosce un primo autonomo sviluppo urbano e da paesone diventa una piccola città. Una doppia targa in marmo sul muro del civico 58 di via Olivi e 41 di via Brenta Vecchia, oggi sede della Casa del Volontariato, ricorda che l’edificio fu donato all’Ospedale Civile di Mestre da una certa signora Italia Costa nell’agosto 1927, anno V dell’era fascista.
Senz’altro la schiera è interamente precedente a questa data perché tutta di mano dello stesso costruttore, come provano vari elementi architettonici: uguali le simmetrie, i cornicioni, i riquadri di porte e finestre, i terrazzini e i loro parapetti in ferro battuto. Ma questo è quanto si vede da via Olivi: su Brenta Vecchia guardano i retro, e qui l’uniformità delle facciate si dissolve, è tutto un gioco di aggetti, sporti di camini, rientranze, piccole terrazze, che danno movimento e profondità diverse alle superfici.
E ci sono anche quattro minuscoli cortili, uno dei quali appartiene a questa Casa del Volontariato, ed è quello in cui voi ed io in questo momento ci troviamo.
4. Il versante opposto della via, il lato ovest, si mostra con un aspetto totalmente diverso. Venendo da sud, superati il palazzotto d’epoca all’angolo con via Carducci e poi un grande condominio moderno, prima dell’incrocio con via Pascoli si apre un piccolo rettangolo di terreno, chiuso tra due muri ciechi di palazzi e una bassa rete metallica verso strada, con due varchi protetti da barriere automatiche. Qui fino a poco tempo fa c’era il parcheggio dell’hotel Vivit di piazza Ferretto; poi era comparso l’annuncio “vendesi”; adesso il cartello è sparito, nel parcheggio sostano due malinconiche auto, ma l’abbandono è evidente, spuntano ovunque le erbacce tra i grigliati di pvc verde del pavimento. Personalmente ricordo quando, tanti anni fa, questo spazio era invece un luogo vivo, un concentrato di energia: muscoli, fatica e sudore. Qui infatti c’era la palestra di arrampicata per gli operai Enel, alcuni pali della luce senza fili sui quali si addestravano a salire con lunghi ramponi di ferro a pettine ai piedi.
Ma molto più vasto è lo spazio vuoto al di là di via Pascoli.
È il grande cortile sul retro dell’ex distretto militare di via Poerio, già monastero di Santa Maria delle Grazie, reso ancora più ampio dalle recenti demolizioni della caserma dei carabinieri di via Pascoli e di altre costruzioni minori. Qui dovrà sorgere l’edificio principale del Museo M9, che sta per “Mestre Novecento”, un progetto della Fondazione di Venezia in collaborazione con il Comune. Non mi soffermo in questa sede su tale iniziativa (il sito di storiAmestre ha ospitato delle discussioni su M9 nel 2009 e nel 2010, e vi si può leggere anche una sintesi di quanto l'associazione ha elaborato sul tema sin dagli anni Novanta). Dico solamente che, come tutte le imprese pubbliche o semipubbliche in questo paese, anche M9 ha vertiginosamente allungato i tempi. Per il momento quel che da mesi si vede da Brenta Vecchia, al posto del vecchio muro di cinta dell’ex distretto, è il tavolato in pannelli di truciolare che chiude il cantiere, ostruendo completamente la vista dell’interno.
Di questa parte dell’antico manufatto monastico è stato conservato soltanto, per il suo valore di testimonianza storica piuttosto che per il pregio artistico, il capitello con Madonna e Bambin Gesù in terracotta del 1661; originariamente collocato sopra un pilastro in mattoni, fu in seguito posto a terra, addossato al muro di recinzione, pressappoco all’angolo tra via Brenta Vecchia e via Pascoli.
A oggi, il bilancio di M9 è a levare piuttosto che a mettere. Sentite cosa c’è scritto su un cartello affisso alla vetrina del negozio di dischi: “Un ‘passo da gigante’ è stato fatto per la realizzazione del Museo M9, progetto approvato qualche anno fa, promessa di realizzazione nel 2014: È STATO TOLTO UN ALBERO! L’unico che faceva un po’ di ombra. Quindi quest’anno più che mai … LA NOSTRA VETRINA È OSCURATA PER PROTEGGERE I NOSTRI ARTICOLI DAL SOLE. IL NEGOZIO È APERTO!”.
Per inciso, non mi ricordavo di quest’albero ma da una foto recente sembra un cipresso, tagliato assieme al solitario abete che stava all’angolo di via Pascoli.
Chiude la strada sul lato ovest l’edificio più recente della via, il moderno palazzo anni Settanta che è stato sede dei magazzini Upim, ora ospita un negozio di telefonia, più avanti costituirà una dei poli del complesso museale M9.
5. Brenta Vecchia è sostanzialmente una via di transito. Dove sta allora la vita in Brenta Vecchia? solo nel chiuso degli appartamenti? Sulla strada ci sono dei negozi. Nell’ordine, da via Poerio: Alexander, già Vittadello abbigliamento, chiuso (“per inventario”, così recitava un cartello affisso in vetrina per mesi; adesso è stato svuotato e risulta da affittare); Medicalaudio, apparecchi acustici; una gioielleria; la storica libreria Don Chisciotte, emigrata qui anni fa dall’originaria sede nel palazzetto del PCI provinciale in via San Girolamo con il libraio Billy ancora tra gli scaffali, ultimo o quasi esemplare sopravvissuto a Mestre di una specie in via di estinzione, in mezzo a tanti venditori di libri; il negozio di musica citato poco fa; due rivendite di abbigliamento; un’acconciatrice; lo Scarabar, il bar che fu per decenni la Triestina, che faceva il miglior caffè di Mestre e dove quand’ero ragazzino mio padre mi portava sempre, ogni volta che dalla periferia dove abitavamo venivamo in centro. Sull’altro lato partendo da via Carducci, invece, a pianterreno del palazzotto d’angolo, dove fino a non troppi anni fa c’era la mensa della Telecom, ha aperto da pochissimo un locale di una nota catena di caffè e subito dopo c’è il bar che una volta si chiamava San Carlo.
Il San Carlo meriterebbe un intero capitolo in una storia della fenomenologia del sentimento amoroso a Mestre. Luci soffuse e calde, nuances morbide, atmosfera intima: negli anni Settanta queste caratteristiche in città le aveva soltanto il San Carlo e ai suoi tavoli, sempre occupati, sedevano le coppie di innamorati assorbite in amorosi conversari, o si mettevano in scena i rituali del corteggiamento. Poi, sarà che di locali come questo ne sono arrivati altri, sarà che sono cambiati i comportamenti amorosi, ma il San Carlo è passato di moda. Adesso si chiama “Cartagine”, anni fa è stato rilevato da nordafricani, dato il nome probabilmente tunisini, e mi sembra abbia una clientela di soli corregionali.
Ma un’esperienza di vita particolarmente coinvolgente, comunque emotivamente forte, nella quale si incontrano e dialogano sofferenza e aiuto, senso di solitudine e offerta della solidarietà, si svolge ne sono convinto al civico 41 e 58, al di là di questo muro, nella Casa del Volontariato che ci ospita. Qui nel giugno 2004 è partito il progetto Spazio Mestre Solidale del Comune di Venezia, con l’apertura dello “Sportello del Volontariato”, un Punto Informativo per i cittadini sul mondo del volontariato e del no profit. A gestirlo sono le 55 associazioni aderenti, tante sono quelle elencate nel dépliant dello Sportello. Qui succedono due cose belle e utili: lo Sportello mette in contatto chi ha bisogno di aiuto con l’associazione che può offrirglielo; le associazioni di solidarietà ma anche le persone che vogliono entrare nel mondo del volontariato ricevono un supporto di tipo organizzativo, logistico e finanziario alle loro iniziative. E si organizzano, anche se non starebbe a me dirlo, belle iniziative culturali come questa.
redazione sito sAm dice
caro sig. Bianchini, può vedere la prima parte dell’articolo all’indirizzo https://storiamestre.it/2013/10/mestrebrentavecchiaieri/; qui troverà, tra le altre cose, indicazioni sulla vecchia denominazione di “calle del Pistor” e sulle trasformazioni relative agli anni che anche lei ricorda. Cordiali saluti, la redazione del sito
Massimo Bianchini dice
Credo sia più a causa di una mia frettolosa lettura della Vostra interessante storia di via Brenta Vecchia (dove io gestisco un negozio), ma non ho visto nessun accenno al precedente nome di questa via, Calle del Pistor. Fu cambiato circa a metà degli anni sessanta. Si chiamava ancora così quando io, con qualche amico (eravamo ragazzini di 10 anni,più o meno) ci avventurammo dentro a degli edifici ancora esistenti ma fatiscenti, disabitati e pericolanti (visto che fummo severamente sgridati da qualcuno per esserci entrati). Ci ritornai qualche anno dopo e non esistevano più. Furono quindi demoliti, ma non prima del 1963/65, come già detto. Massimo Bianchini
Claudio Pasqual dice
L’appunto di Giacomini sui bombardamenti del 1944 come causa della distruzione degli edifici di via Brenta Vecchia su via Poerio è probabilmente fondato: non esistono studi, solo i materiali di una mostra di anni fa, ma in effetti gravi danni le bombe produssero, oltre che alla stazione e in via Piave, anche nell’area tra piazza Barche e via Cappuccina. Se così è, chiedo venia ai lettori. Certo però che sulle distruzioni si operò a breve distanza di tempo e nel quadro di un tumultuoso sviluppo urbano, una ricostruzione non rispettosa dei valori urbanistici e architettonici storici ma in discutibili forme “moderne”. Evocare “torti alla storia” mi pare in questo senso affermazione troppo recisa. Alla seconda obiezione ha già risposto con una sua precisazione la redazione e altro non aggiungo.
redazione sito sAm dice
Grazie per le interessanti osservazioni, alle quali forse Claudio Pasqual potrà rispondere nei prossimi giorni. La redazione aveva annunciato che questo era il primo di quattro interventi di Pasqual, due descrizioni e due ricostruzioni storiche di due siti mestrini. Nel secondo che pubblicheremo, Pasqual parte proprio dalla domanda “Ma perché questa via si chiama Brenta Vecchia?”. Un po’ di suspence o, come anche dicono i francesi: à suivre…
Grazie ancora, e cordiali saluti
redazione sito sAm
carlo giacomini dice
grazie di queste 'fotografie' del centro di Mestre. Due osservazioni, però.
1) "… quando in centro si demolì molta parte del vecchio per sostituirlo con il 'moderno'…". Questa frase suggerisce, in modo peraltro ambiguo, che la demolizione degli edifici preesistenti nella parte nord di via Brenta Vecchia sia anch'essa da far risalire a quella fase e a quelle motivazioni. Al riguardo ho qualche fondato dubbio, perchè credo di ricordare che quegli edifici non furono demoliti ma subitaneamente e pressoché totalmente distrutti nel famoso bombardamento (nel '44?) del centro di Mestre; se non ricordo male, del risultato di quel bombardamento, tra l'altro proprio anche sull'area di via Brenta Vecchia, ci sono, proprio tra i materiali dell'(ex) Laboratorio di Mestre 900, numerosi documenti fotografici (con tanto di grandi scritte-denuncia, sui monconi dei muri sopravissuti, contro la violenza dei bombardamenti sulle città; e qualche bambino piccolo, da solo – orfano? – immobilizzato sulle macerie a guardare o cercare non si sa cosa; le une e le altre, immagini veramente impressionanti). Forse è il caso di controllare ed eventualmente rettificare, altrimenti si fa un torto alla storia.
2) Anche senza pretendere altre reminescenze (come quella dei primi piani urbanistici che, entro uno scenario di ampi sventramenti del centro storico di mestre, immaginavano quasi di unificare le vie Brenta Vecchia e Olivi in una unica grande strada larga di grandi palazzi (Piano Rosso?); forse da ciò anche la grande altezza e immediata incombenza sulla strada pubblica degli edifici di via Olivi est e di via Brenta Vecchia sud ovest), una parola però non si poteva e non si può non dire sul toponimo 'brenta vecchia'! forza…
un saluto a tutti
carlo giacomini