di Ettore Damini
Ettore Damini (1927-2000) nacque a Cavaso del Tomba (Tv) da “una famiglia agiata di media borghesia industriale”, come scrisse nelle sue memorie. Il padre produceva burro che vendeva in tutta Italia. La madre, maestra, veniva dall’Egitto, ma era nata in una famiglia originaria anch’essa di Cavaso. L’attività paterna fallì nel 1933. Dopo aver frequentato i primi anni di scuola in vari paesi della provincia di Padova, nell’ottobre 1940 Damini andò ad abitare presso lo zio Mario che lavorava alla società Cellina e viveva a pensione in una camera ammobiliata in via Gaspare Gozzi a Mestre. Lo zio lo iscrisse al ginnasio-liceo Franchetti, allora ancora circondato da campi. A quattordici anni fu richiamato dalla Questura per aver diffuso volantini contro la guerra. Dopo l’otto settembre decise di raggiungere gli Alleati al sud e si mise in viaggio con una carta geografica dell’Italia centro meridionale e poche lire in tasca. Aveva sedici anni.
Ritornato in ottobre [1941] a Mestre per l’inizio dell’anno scolastico ritrovai i compagni di scuola nella seconda ginnasio [al Franchetti] tra i quali Giorgio Pullini, Paolo Coin, Sandro Volpato e ne conobbi di nuovi, più avanti di noi, “vecchi” studenti di Liceo fra cui Giorgio Bolognesi e un certo Rolando Daniele che abitava alle case dei ferrovieri vicino la stazione. Suo padre, defunto, era un socialista di vecchia data e Daniele un comunista ortodosso tutto Urss. La signora Laura Zille [probabilmente Ester Zille, Ndr] era sempre la nostra insegnante di lettere.
I nostri primi discorsi furono di commento delle più recenti novità di guerra fra cui la più importante: l’attacco della Germania all’Urss (giugno). Ricordo che Daniele “l’adulto” (forse 18-19 anni) sentenziò: l’attacco proditorio all’Unione Sovietica segna la fine potenziale della Germania nazista (e quindi dell’Italia fascista). È ciò che l’Asse si merita. […] Questo era il mio sentire all’età di 14 anni. […] Quando un altro “adulto”, Giorgio Bolognesi (17-18 anni), un “liberale” che sapeva tutto di Benedetto Croce, venne a propormi di distribuire manifestini “anche” nella mia scuola (lui era dello Scientifico) trovò un terreno più che adatto. Accettai senza indugio ed eseguii: riempii le classi di tagliandini contro il Duce e contro la guerra. Fu un vero e proprio scandalo. Tutti ne parlavano con sorpresa e indignazione. Alto tradimento! I manifestini, molto piccoli, consistevano di poche parole, rivelatrici più che altro dell’esistenza d’uno stato d’animo diverso da quello ufficiale: abbasso il Duce, la guerra è perduta, la vittoria non è “immancabile”, i nostri nemici sono i tedeschi e così via.
Questa impresa può sembrare banale oggi ma nel clima e con le leggi di allora non lo erano affatto. Era una presa di posizione estremamente pericolosa la mia. Avevo commesso un gravissimo reato e ne ero perfettamente consapevole: anzi, il più grave dei reati: cospirazione contro lo Stato; aggravante: in tempo di guerra.
[…] Ciò avvenne verso la fine dell’anno scolastico, aprile-maggio 1942 [in realtà a metà giugno]. Il preside Zerbetto, che nutriva sospetti su “certi” studenti (basati sul tenore dei compiti in classe), messo di fronte allo scandalo accaduto nella sua scuola, denunciò il fatto alla Federazione Fascista di Mestre. Questa si rivolse, coi nomi forniti dal Zerbetto, all’Ufficio Politico della Questura di Venezia. Questa, ai Reali Carabinieri dei Pederobba. Questi vennero a prendermi e mi portarono in caserma (io, come ogni anno, ero a trascorrere le vacanze dalla zia Andreina a Cavaso). Lo zio Mario, egli pure a Cavaso, avvertito, mi raggiunse in caserma.
L’interrogatorio durò un’ora circa. Il Sig. Maresciallo voleva sapere: 1) se ero stato io a spargere i manifestini, risposta no; 2) chi era stato, risposta non so; 3) chi avrebbero potuto essere gli ispiratori del misfatto, risposta non ne ho l’idea. Resto dell’interrogatorio: una lunga accalorata invettiva contro le “teste calde” che si lasciano influenzare dai “nemici della Patria”. E mi spedì, all’indomani, alla Questura di Venezia, in treno, accompagnato dallo zio Mario che si era assunto la responsabilità di farlo per evitarmi d’esservi condotto dai Carabinieri Reali.
In Questura in Venezia, Ufficio Politico, trovai tutto il gruppetto dei compagni di Mestre che vi aveva trascorso la notte (io fui fortunato ad essere a Cavaso). Volpato s’era buscato anche le botte, aveva un occhio nero, per aver risposto male al solito questurotto. Stesse domande, stesse risposte. Non si trovò mai l’autore del misfatto. Come finì. Lo zio Mario telefonò allo zio Maliani [di Badia Polesine], che telefonò al suo amico il Ministro Bottai (Istruzione Pubblica), che telefonò al Federale di Venezia, che telefonò alla Questura, Ufficio Politico, dicendo di lasciar perdere.
[Nota. Il rapporto della Prefettura di Venezia alla Direzione generale di P.S. del Ministero degli Interni, 10 agosto 1942,conservato all’Archivio centrale dello Stato, precisa che i manifestini trovati per terra in via Piave nella notte del 14 giugno 1942 erano un centinaio. Erano fogliettini con stampigliata la scritta “Rivoluzione – Popolo insorgete contro il Duce – Vincere vuol dire morte d’Italia”. L’intestazione era “L. E. F.”, il nome che si era data l’associazione segreta di quattro cinque studenti di cui Damini era entrato a far parte, iniziali di “Libertà Eguaglianza Fraternità”. Dopo le indagini la Prefettura concluse che indiziato come autore della diffusione dei volantini era Ettore Damini, ma che il tutto era opera di ragazzi “eccessivamente vivaci esaltati da vociferazioni correnti”.]
Giunto a Cavaso [luglio 1943] mi misi subito ed alacremente a studiare la lingua inglese (a scuola avevo fatto due anni di tedesco e uno di francese nonché, ovviamente, latino e greco, in cui eccellevo, ma non inglese) assistito da un mio amico, un ebreo serbo, confinato politico a Cavaso. Si chiamava Silvio Cabilio ed alloggiava dal dr. Gino Dalla Favara. Era uno studente universitario di Belgrado che aveva il solo torto di essere un ebreo. Silvio non avrebbe potuto avere contatti con alcuno senza il permesso dei questurotti, ma noi infrangevamo questa regola anche due volte il giorno, di mattina presto e di sera. Studiavo accanitamente, ore e ore ogni giorno. Avevo fretta di imparare. Silvio sapevo che ero un antifascista ma non sapeva che stavo progettando la fuga verso gli Alleati. […]
Verso le dieci di sera [8 settembre 1943] venne Silvio Cabilio, il mio maestro serbo d’inglese, a bussare al balcone della cucina che dà sulla strada (via Bonotti). Fui sorpreso di vederlo a quell’ora insolita. Tutto concitato mi disse: “La guerra è finita, lo sai?, l’Italia ha firmato l’armistizio con le potenze alleate, lo hanno detto per radio”. “La guerra non è finita”, gli risposi, “ne comincia invece l’ultima fase, la più catastrofica”. Silvio restò come interdetto e parve non afferrare. In quel preciso istante mi resi conto che era giunto il momento di partire, e senza indugio. Perdere del tempo in quella circostanza sarebbe stato un errore (le linee si sarebbero consolidate e sarebbe stato più difficile superarle). Era il momento che attendevo dall’autunno dell’anno precedente, dallo sbarco in Marocco/Algeria. […]
Attesi per altri tre giorni a Cavaso tentando di raccogliere quante più notizie mi fosse possibile, dalla gente ed alla radio del nonno (un apparecchio vetusto). Dissi ai nonni che mi sarei recato a Rovigo in collegio [dove era stato messo per prudenza l’anno prima per toglierlo da Mestre dopo la vicenda dei volantini] “per qualche giorno”. […] Nascosi le mie poche cosette (lettere e carte), presi un vestito di mio padre adattato ed un paio di scarpe di scorta, una vecchia carta dell’Italia Centro-Meridionale, i miei risparmi (L. 32) e l’orologio “placcato oro” che il nonno mi aveva regalato per la Cresima. Misi tutto nella borsa della scuola. A Rovigo mi sarei approvvigionato di pan biscotto e di formaggio duro dalla suora del refettorio.
La sera dell’11 settembre abbracciai i miei nonni sapendo che non li avrei rivisti per molto tempo e forse mai più. A Cavaso non avevo altri.
***
Tratto da E. Damini, Ricordi di guerra, Stamperia Cetid, Mestre 1997, pp. 30-32, 35-39.
Nota. Dopo un viaggio avventuroso verso sud cercando di ricongiungersi con l’esercito alleato, Damini arrivò a Bari il 6 ottobre. Qualche giorno dopo avrebbe cominciato la collaborazione con il P.W.B. (Psychological Warfare Branch), scoprendo “giorno per giorno che i vertici alleati preferivano appoggiarsi per l’amministrazione del Paese alla burocrazia fascista, che tale era rimasta, intatta, potente ed immutata, malgrado la catastrofe nazionale, come nulla fosse accaduto”. Del resto il fascismo era caduto ma “quella cultura e quel costume (che il Fascismo avevano prodotto) erano rimasti intatti”. Damini chiese di esser mandato al fronte e di combattere. Fu spedito con una piccola pattuglia oltre le linee, nelle Marche, in territorio controllato dai tedeschi, per recuperare soldati e ufficiali inglesi prigionieri di guerra e scappati dai campi di prigionia. La pattuglia ci rimase due mesi, sempre ospitata da famiglie contadine, riuscendo a recuperare una trentina di prigionieri e a imbarcarli verso sud. Damini, che doveva far da tramite con la popolazione, aveva un finto lasciapassare tedesco. Dopo un’altra missione nelle retrovie, sempre per recuperare prigionieri inglesi fuggiaschi, riprese il lavoro con il P.W.B. Tornò a Cavaso, passando per Roma e Firenze, il 2 giugno 1945. A Roma incontrò Silvio Cabilio, scampato alla deportazione.
Tutte le notizie sono tratte da Damini, Ricordi di guerra cit.; il rapporto della Prefettura di Venezia è riprodotto ibidem, pp. 122-125.
Sulla figura di Ester Zille (1914-2012), che Damini ricorda erroneamente con il nome Laura, rimandiamo ancora a Maria Teresa Sega, La resistenza delle donne. Memorie e racconto, in Memoria resistente. La lotta partigiana a Venezia e provincia nel ricordo dei protagonisti, a cura di Giulia Albanese e Marco Borghi, nuova dimensione, Portogruaro 2005, pp. 154 e 159, e soprattutto all'intervista di Chiara Puppini a Ester Zille, la cui intervista si trova nel cd-rom allegato (e intitolato come il libro, ma a cura di Giulia Albanese, Giulio Bobbo, Marco Borghi, Elena Carano).
La notizia della morte di Ester Zille su questo sito è stata data da Claudio Pasqual, tra le sue note mestrine di fine 2012.
Il nome di Silvio Cabilio compare in un elenco di ebrei stranieri internati in Italia tra 1940 e 1943 (non fu deportato).
Tim Williams dice
Apologies for not trying to use Italian language but I am hoping to contact Mario or Massimo. Ettore mentions a Corporal Williams in 2SAS from Yorkshire in his story. I believe this is my Grandfather Edward Williams who was in Italy late 1943 rounding up PoWs.
Many thanks
Tim Williams
ELISA FABBRI dice
RICORDO CON GRANDE AFFETTO E RIMPIANTO IL CARO AMICO ETTORE DAMINI CHE CONOSCEVO DAL 1949. HA LASCIATO UN VUOTO ENORME, MAI NESSUNO POTRA' PRENDERE IL SUO POSTO. MI HA AIUTATO MOLTO CON I SUOI CONSIGLI CHE SI SONO RIVELATI SEMPRE GIUSTI. SALUTO ETTORE CON UN ABBRACCIO RICONOSCENTE. ELISA FABBRI
Mario e Massimo Damini dice
Scriviamo per ringraziarvi dell’attenzione dedicata alla storia di nostro padre nella ricorrenza dell’8 settembre 1943. Cogliamo l’occasione per informarvi che del libro di nostro padre c’è anche una versione inglese, successiva e più ampia di quella italiana. Un cordialissimo saluto, Mario e Massimo Damini