di Carlo Freguglia
Il nostro amico Carlo Freguglia ci racconta un’altra sua lettura estiva, un “carteggio tra due amici”, entrambi professori di storia: uno “un Amleto attempato, male in gamba, amabile, talora, quanto la scorza di un fico d’india”, l’altro “un Prospero nel fiore degli anni, fine, saggio, paziente come il suo nonno-bisnonno de La tempesta, anche se del tutto sprovvisto, nel governo dei fatti suoi, di mantello magico, charms (incantesimi, mi raccomando, no caramelle tuttifrutti) e spiriti obbedienti”.
San Giacomo incombe. Dei bravi librai nelle vetrine le copertine chiamano già. Che fare? Persistere nel non curarsi di romanzi (e premi) o approfittare del fico, della sdraio sotto al fico e della caraffina di pastis (tintinnante di glaçons) per una messa in pari (approssimativa, si capisce) giusto il minimo sindacale? A Ferragosto con fico, sdraio e pastis si chiude. Riparte la vita operosa. Bisogna sbrigarsi.
Eccomi in bottega a razzolare tra le copie delle novità impilate sul bancone. Non vorrò mica pescare a casaccio? Ne hai pochetti. Vedi di non buttarli via. Necessitano buoni consigli.
– Chi va al momento tra gli italiani? chiedo al cortese bibliopola.
– Questi qua, direi.
Fine del prologo.
“Non s’invecchia giorno dopo giorno, s’invecchia di colpo, di un nodo amaro. Una scintilla guasta che ci folgora, ci insudicia…sparge amarezza sul nostro viso.”
“Era la stesso che provavo io nei momenti di culmine… quando capivo di avere tutto, sentivo di colpo il ratto del nulla.”
Avanti un altro, va’ là.
“Un raggio di luce entra dalla finestra alta sopra la porta e muore sul vetro polveroso dell’armadio.”
Parce. In punta di piedi, un po’ il morto, un po’ la polvere. Mai alzarne invano.
“Suppongo di essere ancora capace di sensazioni forti, di sentimenti. Amore è una parola, con quello che contiene che per me non esiste. Nessuno da me può pretendere amore. Ma sentimenti onesti, sì. Di questo sono ancora capace. In Africa quest’estate ho conosciuto una ragazza che mi ha chiesto se ero un gentiluomo italiano. Ecco sì, sono un gentiluomo. È questa la risposta che volevi?”
Una mise à nu (du coeur) emoziona sempre. Figurarsi con un divano (letto) nelle vicinanze. Leggeremo avante? Ma sì (con il debito taglio). “Al mattino lo svegliò il profumo del caffè bollente”.
Un profumo che diverso com’è, se mi intendete, da quello del caffè caldo, toglie ogni dubbio su quanto accaduto nel frattempo tra il gentiluomo e la sua amasia. La buona stella ci ha condotto nel bel mezzo dei profumi.
“Entro nella stanza ancora stordita dalle parole e dal profumo di A., un profumo che mi si è incastrato nelle narici, solido come una saponetta fiorita leggermente stucchevole.”
Basta sensazioni. Sotto coi sentimenti. Magari va meglio.
“Non ti ho mai tradito, non ti tradirò mai. O l’ho fatto?
Come è difficile amare. O sei tu difficile da amare?
[…]
Il dolore è insensato come l’amore. Prima di morire bisogna vederne delle belle, sì. […]
Come passano la bellezza fisica e l’amore sensuale. E cosa rimane?”
Mònega che pistacchio! No sai, mi dico. Agosto romanzi da ombrellone non vi conosco.
È finita che con i 50 euri che avevo deciso di spendere mi sono portato a casa un libro solo, ma grosso, di 500 e passa pagine. Caratteri di dimensioni medio piccole, non gli astutissimi XXXL tipici di parecchia fiction da spiaggia. Un romanzo? Nossignori un carteggio tra due amici.
L’uno un Amleto attempato, male in gamba, amabile, talora, quanto la scorza di un fico d’india. L’altro un Prospero nel fiore degli anni, fine, saggio, paziente come il suo nonno-bisnonno de La tempesta, anche se del tutto sprovvisto, nel governo dei fatti suoi, di mantello magico, charms (incantesimi, mi raccomando, no caramelle tuttifrutti) e spiriti obbedienti.
L’angelo custode di servizio – Ma scusa, non è un romanzo. Non vale.
Un momento, caro amico alato, ragioniamo. Com’erano i bei romanzi che abbiamo letto in gioventù? Faccio un elenco alla buona.
a) C’erano uno o più protagonisti con cui identificarsi.
b) La storia in genere si svolgeva in un periodo abbastanza lungo. I protagonisti dovevano avere il tempo di cambiare di stato, condizione, sentimenti, secondo i disegni del destino loro spettante.
c) Molti i personaggi di contorno.
d) Molte le particolarità relative alle armi ed agli amori dei personaggi principali e di contorno. Particolarità, non chiamarmeli pettegolezzi, per piacere.
e) Le traiettorie dei personaggi si intrecciavano con fatti storici di rilevanza grande (o almeno) media. Con Napoleone alle porte e Mosca che brucia un vecchio nevrastenico che sbarella può risultare interessante anche quando sbarelli sol perché è finita la marmellata di prugne. Ma se mi sbarella con la moldava solo perché lei insiste perché si faccia almeno il pediluvio, anche un bambino capisce che ci importa di meno, che non è la stessa cosa.
Veniamo al dunque. Chi sono, al secolo, Amleto e Prospero? Sono Delio Cantimori e Gastone Manacorda. Il libro si intitola Amici per la storia. Lettere 1942-1966, a cura di Albertina Vittoria, Carocci, Roma 2013.
Di cosa si scrivono? Di politica, di storia scritta e orale, di riviste, di case editrici, di concorsi universitari, di viaggi e di convegni. Tanto per dirne una, non c’è praticamente professore di storia attivo in Italia tra il 1930 ed il 2000 che manchi all’appello. Talora sono menzioni corsive, più spesso officiature analitiche.
Di Manacorda ad oggi non ho letto una riga. Di Cantimori e su Cantimori sono quarant’anni e passa che non faccio che leggere. Tempo ben speso? Ci ragionerò su un’altra volta. Diciamo che nella mia vita non ho fatto che incontrare, stimare, amare persone che avevano incontrato, stimato, amato Delio Cantimori. Il mio sentire al redde, di un commercio tanto lungo? Profondo rispetto, almeno relativamente al punto di com’è che si studi sul serio. Simpatia mica tanta.
Fatto sta che in queste pagine Cantimori mi è risultato, con qualche alto e basso, si capisce, perfino simpatico, nonostante una sua spiccata inclinazione per gli atteggiamenti teatrali. Come quello di protestarsi, lui, rivolgendosi ad uno più giovane di soli dodici anni, come vecchio, vecchissimo, un matusalemme dei settantasette dolori. Potete ben capire che un quasi settantenne, qual è il vostro amico del fico, non può fare buona cera (non parlo neanche di prendere sul serio, nemmeno sforzandosi di rubricarle come bavures figlie di uno stato depressivo) alle geremiadi di un cinquantaquattrenne circa il proprio rincoglionimento irreversibile. Lo stesso vale per le condizioni di salute. Un valetudinario vero mi è in grado saltabeccare (nell’arco di poco più di sei mesi) dal proprio domicilio fiorentino a Torre Pellice, Bologna, Roma, Zurigo, Venezia, Milano, Parigi, Londra (due volte)? Roba che io, si parva, adesso come adesso (e sano come un pesce) nemmeno in dieci anni.
In che rapporti erano Cantimori e Manacorda? Di amicizia. Si usa dire così, come si sapesse tutti benissimo che cosa sia l’amicizia. Qui gli ingredienti sono tanti. Ammirazione, più o meno reciproca, affetto, più o meno reciproco, attenzione, più o meno reciproca, risentimenti, temporanei e durevoli, più o meno reciproci. Amarezze (di Manacorda), tanto più acri quanto più inattese.
Ma non è una giostra che gira in tondo, che si rinnova come fa la luna. I termini del rapporto si vengono modulando nel corso del tempo. L’amicizia dei primi anni ’40 non ha la stessa tonalità né gli stessi colori di quella della metà degli anni ’60. Delle modulazioni non dirò niente perché è essenziale, per il piacere della lettura, seguirle per proprio conto.
Un buon recensore, dicono, deve fornire estratti significativi del libro di cui si occupa. Specialmente se il libro gli è piaciuto. In questo caso derogo senza il minimo scrupolo. In primis perché questa non è una recensione, ma un suggerimento filantropico. Poi perché non vorrò mai privare il lettore del gusto di farsi sorprendere dai memorabili disseminati a piene mani. È per lo stesso motivo che vi propongo di lasciare l’Introduzione per ultima e di calarvi nelle note giusto lo stretto necessario.
Chiudo con un recipe dell’amico saumalier.
Tassativa la degustazione della nota 73 a p. 494. Sempre che dell’uvaggio carattere degli italiani d.o.c.g. vi interessino anche le minime screziature del retrogusto, quali i sentori di frutti rossi (piccoli), le tracce (persistenti) di viola mammola. Se siete di quelli che basta che sia fresco, lasciate pur stare.
Buone vacanze e allegri sempre. E, mi raccomando, non stacchiamo la spina. Aspetta e spera, amico bello, che la fine (dell’italtunnel) s’avvicina.