di Carlo Freguglia
Il nostro amico Carlo Freguglia ci racconta una sua lettura estiva, tra cronache di oggi e anniversari, compreso quello di "Libera nos a malo" (1963-2013).
Quando Hanged by the neck di Arthur Koestler e C.H. Rolph uscì in Inghilterra (si era nel 1961) “i disgraziati cui legalmente si ‘slogava l’osso del collo’ si conta[va]no ormai sulle dita delle mani”. Nel frattempo la pena di morte è stata abolita. Che senso ha allora leggere adesso, a cinquant’anni e più di distanza, la traduzione italiana pubblicata da Comunità nel 1963 col titolo La forca in Inghilterra? Non ci sono temi più attuali? Bah. Quelli ci sono sempre, che discorsi.
Ho trovato passi suggestivi. Parto dal “femminicidio” di cui molto oggi si discorre. L’uso di una parola che non c’è nel dizionario (neologismo) induce a pensare che uccidere le donne sia un fatto nuovo. Un’emergenza.
Diamo la parola a sir John Macdonnell Master of the Supreme Court. Nel 1905 Macdonnell scriveva, sulla scorta delle statistiche criminali relative al ventennio compreso tra il 1886 e il 1905, che “il 90 per cento degli assassinii erano stati commessi da uomini e in quasi due terzi dei casi la vittima era stata la moglie, l’amante o l’amorosa”.
Le sue conclusioni?
“La storia dei molti casi da me esaminati si potrebbe riassumere in breve così: disaccordi e baruffe in famiglia, tutta una serie di sgarbi e maltrattamenti; ubriachezza, scontri, percosse; episodi ripetuti di brutalità e costante mancanza di autocontrollo. Questo delitto è l’ultimo di una serie di atti di violenza” (p. 86).
Nel 1949 un’indagine condotta sugli omicidi commessi tra il 1900 ed il 1949 confermò dati e schema proposti da Macdonnell mezzo secolo prima.
Qual è il sugo? Il sugo, gentile lettore, è che dubito che dare nomi nuovi (un po’ melodrammatici) a cose che nuove non sono giovi a risolvere i problemi (specie quelli difficili). Il sugo insomma è di metodo. Consiste nel ricordarsi sempre che il mondo non è nato ieri. Bastasse lo sdegno, bastasse cantare tutti quanti in coro “Empi spegnetela”! Sarà anche, come vuole Pascarella, che “la musica più mejo è er «Trovatore»” (cfr. La musica nostra). Ma è più teatro che altro.
È superfluo ma preferisco dirlo lo stesso. Il vostro amico del fico deplora le uccisioni, specie di persone già care come “la moglie, l’amante o l’amorosa”. Non crede neanche che pensare a dei rimedi sia tempo perso perché così va il mondo. Dubita solo che l’aumento delle pene riesca a sciogliere il groppo raggruppato, il nodo rintrecciato, lo gliommero che portiamo in cuore.
“Si ar monno nun ce fusse er matrimonio,
ma sai sì quanta gente sposerebbe!”
Sempre Pascarella (La scoperta de l’America, XXXV).
Il secondo tema riguarda un modo di pensare diffuso tra quelli che, in confidenza, potremmo chiamare i fans di Abele. Quella carità per la vittima che si esprime con frasi quali “Voi chiedete pietà per l’assassino: non sarebbe meglio pensare invece alla vittima?” Secondo gli autori si tratta di una carità falsa.
Perché falsa? Perché “…è più sensato cercare di risarcire la famiglia della vittima, che non pretendere di consolarla impiccando il colpevole” (p. 117).
A proposito del fare qualcosa e di non starsene colle mani in mano. A 74 anni suonati la signora Margery Fry si convinse (e, quel che più conta, si diede da fare per convincere il governo) che con un modestissimo incremento delle contribuzioni sociali (un penny alla settimana) si sarebbe potuto rimediare ad una “assurda situazione: se uno si fa male o resta minorato cadendo giù per le scale nel luogo dove lavora, riceve un indennizzo dallo stato; se invece uno subisce la stessa minorazione cadendo dalle scale di casa sua, ma spinto da un malintenzionato che intenda, diciamo, ammazzarlo, non c’è nessun risarcimento. I parenti di un assassinato non ricevono alcun indennizzo […] lo stato si limita a pigliare l’assassino, se ci riesce, e a tirargli il collo” (p. 123).
Altri tempi? Altri sistemi legali? Nulla che valga per noi qui e adesso? Non so niente di diritto penale. Magari da noi lo stato risarcisce i parenti in automatico, sempre, presto e bene.
Casomai non fosse così, l’idea che per soddisfare i parenti basti, come si usa dire “sbattere dentro l’assassino e buttare via la chiave”, mi pare altrettanto assurda.
Lasciamoci con una frase che trovo a pagina 118:
“È inutile negare l’esistenza dell’omuncolo irsuto [l’uomo dell’età della pietra n.d.r.] che abbiamo dentro: bisogna invece riconoscere questo aspetto della condizione umana e imparare a dominarlo”.
Siamo sicuri che il compatimento da esprits forts che oggi si riserva al riformismo empirico, ottimista e benintenzionato sia lo strumento più conseguente per migliorare qua da noi pensieri parole e opere? Dimenticavo di considerare un’obiezione capitale: e se la certezza del risarcimento dovesse indurre qualcuno a riesumare le famigerate procedure del divorzio all’italiana? Andiamo. Fate i bravi. Con cinque e passa polizie a nostra protezione non penserete mica che il manigoldo possa farla franca? Basta sermonare. Sermonare stanca, specie col caldo.
La traduzione italiana del libro edito nel 1963 da Comunità è di Ugo Varnai. Come è noto, Ugo Varnai è stato per parecchi anni il nom de plume di Luigi Meneghello. A proposito: anche Libera nos a Malo è del 1963. Non v’importa niente dei delitti e delle pene? Sempre che siate lettori appena appena cronici di Meneghello ho in serbo un altro motivo per consigliarvi la lettura del libro di Koestler e Rolph. Vi sareste mai immaginati, faccio un esempio, che Arthur Koestler, proprio come Gogol, fosse un appassionato di Giuseppe Gioacchino Belli? La prova provata è a pagina 84. Cosette così, occasioni di bricolage filologico dilettantistico, se ne possono trovare diverse. Tempo perso, tempo perso. Sentili i brutti malmostosi. Sempre meglio del sudoku, mi dico sulla sdraio all’ombra del fico, confortato dal pastis, che berrò, o sofistici, alla vostra salute. Prosit.