di Giacomo Bonan
Pubblichiamo la lettera-cartolina che Giacomo Bonan ci ha scritto dalla piazza Garibaldi di Sofia, la capitale della Bulgaria, dove si trova in questi mesi per lavoro, per augurare buon venticinquesimo compleanno a storiAmestre.
Le occasioni sono due: partecipare, pur solo idealmente, ai festeggiamenti per i 25 anni di storiAmestre e fare una postilla d’attualità alla proposta di ricerca di Giovanni Colle sull’emigrazione dal Bellunese. Avevo letto l’intervista sull’armata perduta di Cambise quand’era stata pubblicata, lo scorso autunno, mentre mi trovavo a Edimburgo a lavorare per alcuni mesi. Ricordo che i temi affrontati mi avevano colpito, anche per la mia contingente situazione di “emigrante” bellunese trasferito nel Regno Unito per migliorare il proprio inglese e cameriere occasionale in un’agenzia di catering per sopravvivenza. Comunque, la mia condizione era volontaria e temporanea, non certo paragonabile a quella delle persone incontrate da Giovanni Colle nelle fabbriche di Mestre e Marghera.
Più che altro mi ero fermato a riflettere sulle motivazioni che hanno spinto quelle persone a emigrare e quelle che spingono la gente oggi, almeno quella piccola porzione di “gente” che conosco, a fare la stessa cosa. Già allora avevo promesso agli amici di storiAmestre che avrei scritto qualcosa, ma l’argomento era ostico e non combinai nulla. L’idea mi è tornata in mente in questi giorni, a oltre 3.000 km di distanza a Sofia, capitale della Bulgaria.
In Bulgaria ci sono finito per caso, grazie a un programma finanziato dall’Unione Europea (il Leonardo LLP) e, fino alla data del mio arrivo, di questo Paese sapevo ben poco. Nel mese precedente alla mia partenza c’era stata una crisi di governo che nei giornali italiani aveva occupato qualche trafiletto nell’ultima pagina degli esteri. Non ricordo alcun momento in cui la Bulgaria fosse stata al centro dell’attenzione dei media, salvo forse l’elezione dell’ex re Simeone II a primo ministro, all’inizio del nuovo millennio. Non conoscevo alcun bulgaro illustre al di fuori del mondo del calcio (basti citare il mitico Hristo Stoičkov). Non penso di aver mai intavolato una sola conversazione che riguardasse questo Paese prima di tentare quel bando europeo e conoscevo una sola persona che lo aveva visitato.
Con la convinzione che questa mia condizione fosse abbastanza generale, mi aspettavo di non usare più l’italiano nei tre mesi successivi (se non con gli altri dieci colleghi che partecipano con me al suddetto progetto europeo). Invece, fatico a ricordare i giorni in cui non ho conosciuto un italiano che vive qui.
Ho incontrato solo giovani (diciamo sotto i 35 anni) e non credo dipenda dal fatto che i più grandi siano diventati tutti pantofolai; grosso modo metà uomini e metà donne. Delle persone incontrate, nessuna è qui per quello che nei film americani viene definito un “viaggio di piacere”, sono tutti residenti a Sofia per motivi lavorativi. I lavori sono i più vari: dal cartografo (sembra ci sia un’ottima facoltà di cartografia e fotogrammetria) alla traduttrice, dall’imprenditore import/export all’ingegnere informatico. Tuttavia, una particolare professione la fa da padrona (difficile resistere alla pessima battuta) con “percentuali bulgare”: l’operatore di call center.
Se qualcuno vuole fare quest’esperienza lavorativa in Bulgaria gli basterà prendere il biglietto aereo; non è richiesta alcuna qualifica, basta la propria madrelingua (per essere sicuri del posto fa comodo anche un inglese scolastico).
Le ditte che assumono sono italiane e internazionali. La paga è di circa 600-650 euro. Da quello che so, è pressappoco la stessa cifra che si percepisce in Italia, ma è fissa (non legata al numero di chiamate, di contratti o altre tipologie di lavoro a cottimo) ed è molto alta se comparata con gli standard degli stipendi bulgari (lavoro come guida al Museo Nazionale di Storia e so che i miei colleghi prendono una cifra più bassa).
Il Museo Nazionale di Storia
A questo punto un’inchiesta seria inizierebbe a snocciolare una serie di dati che io, naturalmente, non ho. Due ipotesi che mi sento di avanzare: 1) Alle aziende conviene perché, a parità di stipendio versato, la Bulgaria è uno dei paesi dell’Unione Europea con le tasse sul lavoro più basse. 2) Ai lavoratori conviene perché, a parità di stipendio ricevuto, il costo della vita a Sofia è enormemente più basso che in Italia. Un paio di esempi saranno sufficienti: una cena al ristorante in pieno centro costa circa 6-7 euro e un bilocale per due persone – sempre in centro – 250 euro circa; se il confronto è con una qualsiasi delle città italiane… meglio non farlo.
In un paio di occasioni mi è stato riferito un particolare misterioso: alla persona in ascolto bisogna dire che la chiamata proviene da Milano. (La qual cosa è oscura agli stessi operatori che me l’hanno riferito, e francamente inspiegabile. Perché fingere di chiamare da qualche palazzone grigio di Lambrate quando si può ispirare nell’ascoltatore il fascino misterioso di una città alle porte dell’oriente? A maggior ragione se l’obiettivo principale è avere l’attenzione dell’ascoltatore medesimo.)
Spero di potervi fornire presto maggiori informazioni su questa nuova categoria di emigranti, poiché penso la vicenda sia indicativa dello “stato della nazione” (la nostra, non la Bulgaria).
Quello che vorrei riuscire a capire, in particolare, è qual è stato il loro «trenino della Val Cordevole» (oggi sarebbe una fibra ottica). Fino a qualche anno fa i motivi che spingevano i miei coetanei ad andare a lavorare fuori dal Bellunese erano molto diversi da quelli delle persone incontrate da Giovanni Colle; non era un’emigrazione verso la fabbrica, ma per fuggire alla fabbrica. Il lavoro in fabbrica era l’“opzione zero”, quella quasi scontata per chi, finite le scuole, rimaneva a vivere in provincia. A me, per le brevi esperienze che ho avuto, sembrava un motivo più che sufficiente per partire. Nessuno mi aveva ancora informato, però, che l’alternativa “terziaria” all’alienazione industriale sarebbe stata la Silicon Valley di un call center a Sofia.
Forse per questa sera è meglio non pensarci e alzare un bicchiere di rakija ai vostri 25 anni.
vitaliano freguglia dice
bello. bello dico l’impararne di tutti i colori. dove tu vada vada. magari, rimugino, capitasse una volta ogni tanto di impararne di speranzogene, anche appena appena.