di Claudio Pasqual
Pubblichiamo il discorso tenuto da Claudio Pasqual il 25 maggio 2013 a Forte Mezzacapo, in occasione della festa per i 25 anni di storiAmestre.
C’era una volta il rio Cimetto che, da Chirignago, parallelo alla Miranese, passava per Santa Barbara – così chiamavamo allora, dal nome della parrocchia, il posto in periferia di Mestre dove vivevamo –, attraversava i Sabbioni accosto alla ferrovia e si buttava nel Marzenego dietro la piscina di via Olimpia. Adesso a Santa Barbara il rio non c’è più perché da un pezzo l’hanno intubato. Il Cimetto era un corso d’acqua modestissimo, tre-quattro metri di larghezza, arginato, con sponde erbose. Mi ricordo che in fondo alla via Friuli, davanti alla chiesa, c’era un ponticello di legno per attraversarlo.
E c’erano una volta per me, quand’ero bambino, ma ci sono ancora, si fa ancora la raccolta, le figurine dei calciatori edizioni Panini Modena. All’epoca, prima metà degli anni Sessanta, chi ha la mia età forse se lo ricorda, non c’era l’adesivo dietro, sull’album bisognava appiccicarle con la colla, coccoina o vinavil. La bustina non costava gran che, poche lire, ma io di soldi in tasca ne avevo pochini, anzi per dir la verità non ne avevo mai. Mia madre, figuratevi, la domenica mi dava cento lire per andare al cinema dal prete e comprare qualche “ciuceto” dal baracchino a motore che sostava nel piazzale di Santa Barbara prima della proiezione: non era spilorceria, ve l’assicuro, era rigorosa educazione di marca friulana alla parsimonia. Dunque non è che potessi comprarne, di bustine, tante e spesso; era una fatica strappare alla genitrice qualche soldo per il giornalaio.
Dunque un bel momento, avrò avuto otto o nove anni, decisi di trasformarmi in un cercatore di figurine gettate o smarrite, essendomi balenata chissà come in testa l’idea che il fatto, di buttare o perdere figurine, dovesse capitare non così raramente; e altrettanto inspiegabilmente, ritenni che le sponde del rio Cimetto dovessero essere il mio terreno privilegiato di caccia.
Perciò, per un periodo che nel mio ricordo fu di mesi, in primavera ed estate, mi misi a battere appena potevo il tratto di fosso tra l’asilo di Santa Barbara e il ponte su via Calucci, la strada dove abitavo, e c’ero pure nato. Mi ricordo che camminavo lento in mezzo all’erba che mi arrivava a mezza gamba scrutando con la massima attenzione tra il fogliame; l’erba non fu mai molto alta, evidentemente i tagli si facevano con una certa regolarità o forse quell’anno piovve poco. Intanto l’acqua scorreva bassa e pigra, sempre torbida, nel canale, ma io ci facevo poco caso, tutto intento nella mia esplorazione del terreno. Se c’erano dei pesci, io non ne ho visti o almeno non ne ho memoria. E nemmeno la corrente trasportava granché, allora non c’era mica tutta la plastica che c’è adesso.
Di figurine credo di averne trovate una o due, e piuttosto malridotte, per giunta di quelle che già avevo. Certo nessun Pizzaballa, portiere dell’Atalanta, pezzo rarissimo del campionato 1963-64. Comunque quelle volte esultai, e mai mi scoraggiai o mi spazientii durante quelle mie solitarie esplorazioni, anzi provavo mentre mi aggiravo lungo il rio, e dovevo sembrare strano, un po’ bislacco a chi mi vedeva, un continuo sottile piacere: era la ricerca, non la scoperta, la vera ragione di quei miei lunghi pomeriggi sul Cimetto.
Più spesso mi imbattei in cartacce, qualche scatola di latta, altre porcherie, ma poche devo dire, mi ricordo il rio Cimetto come un posto abbastanza pulito; ho impresso nella mente soltanto il verde scuro e continuo dell’erba fitta. Un fatto indelebile nella memoria fu l’incontro un giorno con qualche pagina gualcita di giornale pornografico: nulla di paragonabile alle immagini di oggi, ma immaginatevi il turbamento di un ragazzino.
Dicevo prima dei pesci. Di animali io non ne ho incontrati, al massimo qualche solitario gatto randagio. Si dice che i fossi siano il regno dei topi, ma, se c’erano, da me non si sono fatti vedere, se ne sono rimasti ben nascosti.
Un altro ricordo e chiudo. Riguarda le “pettenelle”, quelle inflorescenze spinose di non so quale pianta che ti si attaccavano con le loro punte ai vestiti e ai capelli. Dietro l’asilo delle suore il rio Cimetto faceva una curva prima di inoltrarsi in mezzo a campi, prati e boschetti, all’epoca dalle parti di via Calabria non c’era niente, solo un’isolata fabbrichetta di imballaggi in cartone. Sulla curva il sentierino di terra battuta in cima al piccolo argine diventava ancora più stretto. Lo percorrevamo sempre in bicicletta. Una volta capitombolai giù dall’argine, non verso l’acqua ma dalla parte opposta, però non fu esattamente una fortuna, perché piombai sopra una distesa di “pettenelle”. Quando recuperai il sentiero, credo che un porcospino sarebbe stato meno puntuto di me!
maurizio angelini dice
Del Rio Cimetto ricordo che una volta, prima dell’imbottigliamento, esisteva e c’era (c’e’?) perfino una via con il suo stesso nome. Di santa Barbara credo di ricordare (fine anni cinquanta/primissimi anni sessanta) quando era una chiesetta appena nata (mi pare addirittura di legno, o è un sogno?) anche perché il parroco era il mio prete di religione alle medie, abbastanza noioso e occhiuto, don Ettore Fuin.
Quegli anni sono gli ultimi in cui, già allora rischiando lepto, peste e infession, si faceva il bagno nell’Osellino, sfidando la memoria minacciosa (e limacciosa) del Gorgo dei Sete Anegai, buttandosi in prudente sciompa dal SECONDO PONTE DE FERO!
Rosanna Trolese dice
Teneri questi ricordi, anch’io a Venezia facevo una raccolta di figurine ma ero più interessata agli attori del cinema bellissime!!