di Mirella Vedovetto
Mirella Vedovetto, che tra le altre cose è la fondatrice e ideatrice del sito di storiAmestre, ci offre un contributo su temi cari all’associazione: camminare, esplorare, osservare. Già nel 2006 e nel 2007 Mirella aveva scritto due brevi reportage dalla zona artigianale di Mogliano Veneto. Ne approfittiamo per ricordare anche il quarto quaderno di sAm, “Andare a vedere”, che in particolare contiene il contributo di Matteo Melchiorre intitolato proprio “Camminare”.
1. A fine novembre mi sono rivolta al dottore per alcuni piccoli fastidi che avevo. Mi ha detto di provare a risolverli camminando. Mi sembrava un po’ new age come cura, ma mi ha detto di provare e che poi non avrei mai più smesso. Mi ha prescritto l’obiettivo di 15.000 passi al giorno. Sul momento non sono riuscita a trattenere un sorriso incredulo, infatti mi ha ricordato I quindicimila passi di Vitaliano Trevisan (Einaudi 2002). Di questi quindicimila passi almeno un’ora devono essere di passeggiata veloce, mi ha detto.
Il dottore mi ha elencato tutti i benefici della passeggiata, a livello fisico e psicologico: si scaricano stress, ansie, fanno pensare attivo… e mi sono convinta che probabilmente aveva ragione, dovevo allenarmi per sopportare il nervoso.
2. Sono consapevole che ci siano vie più costruttive e utili dove incanalare il nervosismo, la rabbia, l’ansia, ma intanto ho iniziato a camminare. Chi corre dice che le idee più brillanti gli vengono proprio mentre fa jogging, non si sa mai che una camminata possa portare a una piccola luce…
Sicuramente, per ora, risparmio in benzina e mi accorgo di guardare con molta più attenzione il paesaggio che attraverso, le persone che incontro. Certo non è facile tradurre a parole tutto questo, perché gli input sono tanti e le sensazioni, le impressioni, non riesco a esprimerle in parole, ma mi posso allenare.
Ho fatto un conto: quindicimila passi corrispondono più o meno a dieci chilometri.
Il mio riferimento per capire quanti siano dieci chilometri è la distanza tra Mogliano Veneto e Treviso: quando andavo a scuola, alle superiori, prendevo il treno e la fascia chilometrica in cui rientrava quella tratta erano appunto dieci chilometri esatti.
3. Dopo le prime passeggiate mi sono organizzata: le scarpe buone, come consiglia Piero Brunello tramite Checov, sono fondamentali. Per me si tratta di semplici scarpe da ginnastica. Il quaderno di appunti però non ce l’ho, scriverò solo qualche breve nota qui, ora (Anton Cechov, Scarpe buone e un quaderno di appunti. Come fare un reportage, a cura di Piero Brunello, Minimum Fax, 2004). Per non contare i passi, e prendendo molto seriamente la prescrizione del medico, ho comprato un contapassi, un piccolo aggeggino che quando mi ricordo metto alla cintura. Utilizzo poi il telefono per un po’ di musica. Per ora ascolto quella consigliata da Murakami Haruki ne L’arte di correre (Einaudi 2009), e mi trovo molto bene.
Oltre alle scarpe, dato il freddo e il vento, non esco mai senza sciarpa, guanti, cappello e ovviamente giacca. A volte c’è un freddo talmente intenso, quando esco alle 8 di mattina, che tutto il paesaggio sembra congelato, imbiancato dal gelo, e ho la sensazione che qualsiasi cosa sfiori si spezzi. Comprese le mie dita. Ma vado avanti, so che poi mi riscaldo.
4. Ho iniziato le mie passeggiate andando al lavoro a piedi. Da casa, Marcon, al lavoro, Mogliano Veneto, sono giusti 5 km, quindi tra andata e ritorno, durante la settimana, sono a posto.
Tutto il percorso è facile e protetto perché, lungo la strada e separata da una siepe, c’è una via pedonale ricoperta di mattonelle di cemento, sono un po’ sconnesse, ma non mi lamento perché è davvero un piacere camminare senza il rischio che un’auto o un camion ti stringa troppo.
Provo questa spiacevole sensazione in due tratti dove il percorso pedonale si interrompe. Il primo, venendo da Marcon e andando verso Mogliano, è all’altezza della tangenziale che passa sopraelevata. Il secondo si incontra poco prima della palestra “via Torni 51”, poco prima prima del Gris. I due tratti di strada costeggiano un fossato, e la linea bianca che delimita la corsia non lascia spazio per i pedoni. In quei punti cerco sempre di accelerare il passo e di stringermi il più possibile sulla destra ma mi sento davvero vulnerabile: auto e camion passano velocissimi e senza allargarsi sulla sinistra per lasciarmi un po’ di spazio. Mi sfiorano e mi immobilizzano per alcuni secondi con la ventata di freddo che lasciano dietro di loro. Devo ancora capire perchè facciano così: credo che non si rendano conto della mia presenza, ma ho come la sensazione che pensino che io lì sia fuori luogo e quindi se ne freghino.
Non lo so. Per fortuna si tratta solo di pochi metri.
Lungo la via Alta ci sono molti condomini in costruzione, o appena terminati. Mi chiedo sempre chi li comprerà. Lo sguardo riesce a riposarsi solo quando incontra degli spiazzi vuoti, ma mi sembra di ricordare che sia rimasto solo un campo, niente di più.
5. Arrivata alla rotonda del Gris ho due possibilità. Una è quella che prediligo ultimamente: vado avanti dritto, passo davanti al Lidl, vado giù per via Casoni, sbuco in via delle Azalee dove trovo tanti bambini che vanno a scuola accompagnati da mamme o papà, e non riesco mai a evitare di pensare alle loro aule, ai compiti che avranno preparato a casa, alle ore che passeranno lì dentro e mi chiedo se anche la loro maestra gli dirà di stare a braccia conserte… Su via delle Azalee, proprio all’imbocco di via Barbiero, e di fronte alla scuola, spuntano alcuni alti condomini di fine anni Ottanta, grigi, mentre più avanti ci sono delle case a schiera con giardino che si susseguono fino a quando la strada incrocia via Ronzinella. Di fronte alla scuola c’è un gran via vai di auto: parcheggiano, accompagnano i bambini, partono; lungo la strada di solito incontro sempre le stesse persone: un bambino con lo zaino accanto alla mamma, lei porta al guinzaglio un cucciolo di cane nero, questo bambino mi deve aver preso in simpatia, non so come mai. Mi saluta sempre e con un sorriso mi invita a fermarmi a guardare il suo cane, penso sua mamma sia dalla Romania, o almeno l’accento è simile a quello di una mia amica. Poi incontro un bambino in bicicletta che corre sul marciapiede davanti alla mamma, anche lei in bicicletta, e lui ha il terrore di investirmi: inizia a muovere a destra e sinistra il manubrio per cercare di andare avanti dritto, quindi preferisco fermarmi per lasciarlo passare e mi accosto bene al muretto che circonda una delle casette a schiera; poi incontro i due fratelli che camminano accanto alla mamma, penso sia musulmana per via del fazzoletto che porta in testa, lei spinge il passeggino dove dentro dorme un altro bambino.
6. In alternativa, ma era un tragitto che percorrevo fino a qualche tempo fa, alla rotonda del Gris, posso attraversare la strada e prendere via Tommasini, proseguendo su questa strada a si passa davanti alla casa per Anziani Gris e ai poliambulatori. Sulla rete che circonda la struttura, almeno fino a dicembre, era appeso uno striscione ormai consumato e sbiadito, in cui gli infermieri manifestavano che i loro stipendi erano stati bloccati.
Giusto alla fine dei poliambulatori prendo via Vivaldi, sulla destra: è una via costeggiata da casette a schiera, la percorro fino a quando incontro via Rossini, quindi giro a sinistra e mi ritrovo ancora in via Ronzinella.
7. Sia che prenda una strada piuttosto che l’altra, all’altezza dei condomini costruiti, credo a fine anni Ottanta, all’incrocio tra via Marocchessa e via Ronzinalla, faccio una sosta, spengo la musica , mi mangio un’arancia, e mi guardo un po’ intorno. Fa freddo ma arrivo sempre troppo presto e preferisco stare lì fuori.
Non riesco mai a comprendere fino in fondo come sia strutturato questo ammasso di condomini. Il loro colore è marrone. Sono disposti a ferro di cavallo. Sono sopraelevati rispetto alla strada: alcune scale conducono dalla strada a un porticato. Dal porticato, quindi, altre scale portano verso il centro della U formata dai condomini. Ci si trova così su un parco in discesa, con dei sentieri che convergono verso una specie di piscina, in cemento, senza acqua. Se la guardi dal porticato, si trova in basso, come in una conca. Un corrimano in ferro la circonda, come se volesse invitare i passanti a concedersi una pausa, poggiare le mani e ammirare quel laghetto artificiale, dove l’acqua però te la devi immaginare. Il tutto dà una sensazione di abbandono, anche perché è sempre deserto. Una volta mi sono incamminata lungo una strada che porta dietro i condomini e ho notato che sono stati nominati con nomi di montagne.
Un altro elemento che mi lascia un senso di incomprensione sono alcune panchine disposte in fila, su uno spiazzo di cemento, sopraelevato rispetto alla conca. Queste panchine sono rivolte verso uno dei condomini marroni, non verso il verde.
Quando attraverso questo spiazzo, con al centro la piscina vuota mi dico sempre che potrebbe essere anche bello: ci sono gli alberi, questo piccolo sentiero, il potenziale laghetto, la piccola vallata… ma non me ne convinco. E per di più mi sento sempre osservata. Tutte le finestre di quei condomini, infatti, sono rivolte verso il parco, ed è vero che sono quasi sempre tutte chiuse, con le tapparelle abbassate, ma sono tante e arrivano molto in alto, sembrano delle torrette. Di recente inoltre hanno aperto una stazione di polizia municipale.
8. La mia passeggiata è arrivata a termine, dopo la sosta, mi incammino verso lo stabile dove lavoro e un’altra bella camminata quando esco mi ci vuole proprio.
9. Nei fine settimana, in questi mesi, ho percorso tragitti alternativi rispetto a quello dei giorni feriali: casa-centro commerciale; casa-via della Fornace a Marcon; da via Gioberti a Mogliano Veneto, dove abitavo una volta con mia mamma, ho attraversato i campi lungo la Peseggiana per sbucare in via Marignana e l’ho percorsa tutta fino ad arrivare poi a un altro piccolo centro commerciale aperto nella zona artigianale di Mogliano; parco san Giuliano; argine del fiume Zero.
Mi rendo conto che se avessi tenuto con me un quadernino di appunti, probabilmente avrei potuto annotare molti più particolari rispetto a quelli che in questo momento ho ricordato. Ma il fatto è che oggi sono in ferie ed è questo il motivo per cui mi sono messa a scrivere dopo tanto tempo.
claudio pedron dice
Anch’io sto usando il contapassi di mio figlio. Anch’io vado al lavoro a piedi. Non sempre e non per tutto il percorso che è troppo lungo(devo attraversare tutta Firenze). Alla fine faccio 13000 passi e almeno 1300 pensieri. A volte ascolto la musica e odio le auto. A volte odio la musica e ascolto le auto. Immagino molto e osservo molto. A ogni passo il corpo sussulta felice. Non prendo appunti, se non mentali. Ma faccio spesso delle foto e le uso in un blog. In un bosco sarebbe molto meglio. Ma ogni giorno vedo cose nuove anche sulla stessa strada. Se non cambia il paesaggio, sono cambiato io. Domani avrò uno sguardo diverso per le cose, per un giorno lo sguardo di Mirella.
vitaliano freguglia dice
Ho accompagnato Mirella metro per metro. Mi verrebbe da formulare una specie di legge relativa ai rapporti che esistono tra la velocità a cui si viaggia e il grado di percezione della demenza dell’edificato (case strade). Più veloci si va più alta è la possibilità di considerare conforme a ragione quel che ci contorna (e ci affanna). Meditare camminando, concentrarsi sul respiro, sentire il peso del corpo che si sposta dalla pianta al tallone, tutte buone pratiche, mi si dice, per decentrarsi, per rompere il flusso dei cattivi pensieri. Ho letto da qualche parte questo ed altri consigli. Non mi ricordo bene se è stato in un libro che ho incontrato da poco o in qualche filosofo che sono andato coscritto una quarantina d’anni fa. Morale. Il pezzo di mirella non solo è scritto benissimo. Proprio perché è scritto benissimo per mio conto vale anche come consiglio pratico per dissentire in autonomia. Chiamare per nome l’irragionevole dopo essersi data la pazienza di guardarlo e riguardarlo, giorno, dopo, giorno, da cima a fondo. E farlo a bassa voce. Ciò che si rivela non ammette un volume più alto del mormorio.
Enrico dice
Grazie Mirella per dimostrarci come si può raccontare la quotidianità. Sul numero di chiusura d’anno dell’Internazionale (2011) si ricordava che la quotidianità e la monotonia di alcune giornate sono al pari degli eventi eccezionali, altrettanto sorprendenti, solamente troviamo difficile raccontarle, perché siamo abituati a credere che la realtà merita di essere raccontata solo quando assomiglia a un romanzo.