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Un feltrino a Venezia

20/01/2012

di Matteo Melchiorre

Per gentile concessione dell’autore, pubblichiamo alcuni brani dell’avvertenza (Storia di una decisione) che il nostro amico e socio Matteo Melchiorre ha premesso al suo saggio Ebrei a Feltre nel Quattrocento (uno scarto di bottega), Famiglia Feltrina, Feltre 2011 (Collana “Studi e Ricerche”, edizione fuori commercio). Ci fa piacere ospitarlo per la sua sintonia con i temi dell’associazione: attenzione e sentimenti per il luogo in cui si vive; amore per la storia. Nella bottega d’artigiano di Melchiorre si sente molto Marc Bloch, e questo “scarto” ricorda i “trucioli dell’atelier” di cui parlò una volta lo storico francese a cui è dedicato il terzo quaderno di sAm. (Ricordiamo che qualche mese fa abbiamo pubblicato alcune pagine di un altro lavoro recente di Melchiorre: La banda della superstrada…).

1. Questo piccolo libro è uno scarto di bottega. Succede, allo storico come a ogni artigiano, che in un angolo della bottega rimanga a tarlarsi un pezzo che si vorrebbe fosse venuto diversamente e che si è deciso, per vari e opportuni motivi, di lasciare alla polvere. Può accadere tuttavia che prima o poi giunga in bottega un visitatore il quale manifesti un interesse incomprensibile per quello scarto. Così è stato. Un visitatore entra nella mia bottega, si guarda attorno e vedo che prende in mano il plico di carte con su scritto Ebrei a Feltre nel Quattrocento. Ho spiegato che il prodotto finito rispondeva poco alle aspettative che avevo nutrito nei suoi confronti all’inizio. E ho anche confessato che alcuni Critici, il cui giudizio non posso che venerare, avevano espresso più di una perplessità in merito a questo prodotto del mio atelier. Di fronte al fermo diniego, il visitatore se ne è andato a malincuore. Un anno dopo è tornato, rigirando tra le mani lo scarto con un tale amabile interesse e rivolgendomi preghiere così cortesi che ho promesso di riflettere meglio: mi desse tempo fino all’estate, e avrei pensato se lo scarto poteva uscire dalla bottega oppure no. […]

3. […] Ho tirato fuori da un raccoglitore ad anelli le schede sugli ebrei a Feltre che mi ero fatto nel 2001 in Archivio di Stato a Venezia. I punti esclamativi fioccano. Gli asterischi luccicano. Le sottolineature, doppie, triplici, quadruple non si contano. E il bello è che i miei grafici entusiasmi non fiorivano soltanto laddove incontrassi notizie sugli ebrei ma ogni volta che trovavo qualche pétola su Feltre. Non vi dico l’infilata di quattro punti esclamativi, tre asterischi e una freccia acuminata accanto all’appunto che avevo ricavato non appena avevo letto che, con delibera del 1420, il Senato veneziano aveva dato licenza al rettore di Feltre di rifugiarsi in un luogo non lontano dalla città, per timore della peste che infieriva tra le mura.

*

Rimettendo al suo posto il raccoglitore ad anelli ho scosso la testa. Mi sono ricordato subito di come stavo nel 2001, al tempo di queste schede esclamative. Sospiravo non poco. Sarei un paziente non collaborativo se non tenessi conto di quello stato d’animo. Faccio presente allora per quali intime ragioni, nel 2001, avevo finito col concepire una ricerca sugli ebrei a Feltre. Da un lato, è vero, c’era la grande curiosità che per questo genere di problemi mi aveva a sua insaputa trasmesso il prof. Reinhold Christopher Mueller di Venezia, nell’ambito di un suo corso monografico sulle minoranze ebraiche nel tardomedioevo. Dall’altro lato, però, è ancora più fondamentale lo stato d’animo in cui mi trovavo in quell’anno infelice. Per me, infatti, non credo che le più autentiche ricerche di storia nascano solo da mòti della ragione.

Abitavo a Venezia da pochissimo tempo e avevo nostalgia di casa. Una stretta al cuore da non dire. Hai voglia la fortuna di vivere tra calli larghe e calli lunghe, campi e campielli, rio Terà dei Pensieri e Canal Grande, rughe e rughette. Chi se ne fregava di motoscafi, vaporetti, gondole, barchini e barconi? Le avevo provate tutte per rassegnarmi. Avevo letto Iosif Brodskij, Fondamenta degli incurabili, per abbeverarmi al suo animo incantato. Ma non mi parlavano per niente il suo «paradiso che è il frontone di San Zaccaria», la sua acqua di laguna che fa «concorrenza al firmamento» e il vaporìn che va, come «pensiero coerente attraverso il subconscio».

La mia era nostalgia, e nostalgia rimaneva. E allora andavo in archivio, prima che per risolvere i dilemmi sulla presenza ebraica nella Terraferma veneta, per fare un sorriso quando vedevo la parola Feltrum nei documenti che leggevo. Si trattava di un sentimento per certi versi puerile, ma sincero. Subivo in quell’anno, in aggiunta, l’influenza di uno scritto di Martin Heidegger, un commento ad Arrivo a casa di Hölderlin, in cui leggevo passi di questo genere: […] anche chi arriva resta ancora uno che cerca. Ma ciò che cerca gli viene incontro. È vicino. Io soffrivo invece di lontananza, cercavo ebrei a Feltre in archivio e venivo fuori più contento.

*

Non posso negare che quello stato d’animo oggi è in realtà mutato non poco. Altro che bottega! Adesso sì che rimpiango il vaporìn come «pensiero coerente attraverso il subconscio». Pazienza, ciò nondimeno il concepimento e la realizzazione di questo scarto di bottega affonda le sue radici, come si direbbe, in quella nostalgia veneziana, che sanavo in partibus con letture archivistiche di argomento feltrino. Con quale diritto, allora, potrei negare il dato evidente? Tutti i difetti che io stesso e i summenzionati Critici additiamo nello scarto di bottega Gli ebrei a Feltre sono imputabili alla condizione emotivo-psicologica con cui ho affrontato i primi passi della ricerca.

4. Uno scarto di bottega con queste caratteristiche e questa storia, allora, può essere o meno lasciato andare da solo per il mondo? Lo daremo in mano al visitatore della bottega, adesso che l’estate si avvicina? Non pensiate che la decisione sia stata semplice, ma infine l’ho presa. Ho messo in riga gli argomenti. Gli ebrei a Feltre:

a. colma una lacuna degli studi nella geografia degli insediamenti ebraici della Terraferma veneta;

b. rende fruibili i contenuti di alcuni documenti inediti;

c. raccoglie nuove notizie sulla storia di Feltre nel Quattrocento;

d. è costruito, artigianamente parlando, con umiltà;

e. è il lascito di una stagione delle mie ricerche in cui l’amore per il luogo che abitavo mi spingeva ad andare per archivi, spinto in questo più da uno stato d’animo che da contratti a progetto o precise finalità critico-filologiche.

Soppesati questi cinque punti, nonché tutti i rischi cui mi esporrò di fronte ai summenzionati Critici, ho deciso di soffiare via la polvere dal mio scarto di bottega. Gli darò un’ultima rifilata, e poi il visitatore se lo prenda pure. Ne faccia ciò che vuole. […]

Tomo, 5-8 settembre 2011
 

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Archiviato in:La città invisibile, Matteo Melchiorre Contrassegnato con: Feltre, pagine scelte, spaesamento, Venezia

Interazioni del lettore

Commenti

  1. alessandro voltolina dice

    21/01/2012 alle 16:17

    Finalmente siamo usciti dai PAT! Grazie Matteo Melchiorre e grazie a chi ha pensato in questa settimana di mettere nel sito il tema del 27 gennaio. Capisco che le celebrazioni siano viste talvolta con sospetto, ma temo di più l’oblio. Ieri a radio tre ho sentito una bella intervista a Santino Spinelli che parlava del suo ultimo libro. Ha detto che il giorno della memoria ha raggiunto ormai tratti grotteschi di spettacolarità. Ha probabilmente ragione, bisognerebbe stare di più sotto traccia e mi pare che il lavoro di Matteo appartenga proprio a questa atmosfera. grazie dunque a Matteo e grazie per la segnalazione. con stima Alessandro Voltolina

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