di Gigi Artusi
La poesia di Gigi Artusi è un invito a non tacere davanti alla prospettiva della costruzione – in un’area a cavallo tra i comuni di Dolo e Pianiga – di “Veneto City”, ovvero un insieme di centri commerciali, uffici, parcheggi destinato a diventare un enorme “polo direzionale e commerciale”. Il progetto è in discussione da tempo, ma quest’estate i sindaci dei due Comuni coinvolti hanno firmato con i presidenti di Regione e Provincia la bozza di un accordo per la sua realizzazione.
Il 26 settembre 2011 si è tenuta una manifestazione per protestare contro questa eventualità.
Il titolo della poesia di Artusi gioca sul fatto che “City” e “Siti” in dialetto veneto si pronunciano allo stesso modo. Per aiutare la lettura, soprattutto per chi è poco pratico del Veneto, abbiamo cambiato in qualche punto la trascrizione scelta dall’autore per rendere il dialetto. Si tenga però presente che nel dialetto di Artusi, quello che si parla nella riviera del Brenta, la consonante ‘l’ all’inizio di parola davanti a vocale (come l’articolo “la”) e tra due vocali (come “brustolà” cioè “abbrustolita”) , è una elle ‘evanescente’ (così abbiamo messo nella nostra trascrizione), che si pronuncia come una ‘e’: dunque a ‘la’ corrisponde ‘ea’, ‘brustolà’ si pronuncerà ‘brustoeà’ (come si trova nel testo originale). Chi non è proprio pratico del Veneto, troverà in fondo una traduzione libera in italiano.
No se fa bacàn da ste parti,
se tase e se lavora,
la nona col rosario, la poenta brustolà,
ne gà lassà na bèa eredità,
siti, muti, cai soe man, schina rota dala fadiga,
el prete, el paron
i gà sempre rason…
Finia la guera, via cola ricostrussion,
ze rivà e fabriche e anca qualche schèo,
‘lora buta zo tuto, anca queo che ghe gèra de bèo.
Taja albari, stropa fossi, sfalta trosi e stradèe.
Na bea caseta fata col cognà al sabo e ala domenega:
coèrto ala mericana, cèsso dentro,
rotolanti in plastica e mòbii in formica.
Chel rùdare coi archi e chea tola de nogara,
assémoi cascare e démoghe fogo,
che ze da vergognarse de èssare stai cossì poareti.
Passiensa! Pal progresso bisogna pure perdere calcossa.
Ma ormai, ai veneti, ghe gà ciapà la man,
‘lora via coe zone industriai e coi centri residensiai,
anca el paeseto pi scalcagnà
el se gà dà da fare, par no essare l’ultimo dea coà:
capanoni, case a schiera, condomini,
paesi tuti uguai, né carne né pesse,
un campo ogni tanto e el resto cemento.
E tuti siti…
Tanto ghemo i schèi,
ma co casca do giosse, tuti soto acua,
‘lora zò pianti e maedission.
E intanto stropa i ultimi fossi
fa condomini, capanoni, centri comerciai…
Dèsso, cola crisi che ze rivà,
capanoni sarai, quartieri novi mezi vòdi,
zente desperà.
Uno che varda da fora el pensa:
I se chietarà?
I gavarà capio che i gà esagerà?
Maché, gnente da fare, vanti sempre.
Strade, bretèe, sinture, passanti
casèi, capanoni, ipermercati, condomini
el Veneto gà da deventare na unica metropoi,
sensa remission.
Sensa interrussion.
De tera ibera,
pa osei, pa piante e pa cristiani,
gnanca parlarghene!
E ze solo manie de quatro sfigai,
che i ghe crede ancora al bisogno de posti naturai.
Pena fora dae contrade, za moribonde e sassinae,
Sentì sta gran idea, moderna e geniae,
femo su na bea city artificiae.
On paese dei balochi,
par tanti bei pinochi,
che presto i deventarà mussi o ochi.
El paradiso dove trovare
tuto quelo che uno pòe sognare.
Qualche toneata de cemento no guasta
so chee tere perse, che no ga futuro,
e pò piantaremo anca àlbari de sicuro,
e ghe daremo lavoro a tanta zente.
“Noaltri semo el progresso e staltri no capisse gnente”.
Qua me fermo cola descrission
e passo a dire a me opinion:
Se questo ze el progresso,
la filosofia de desso,
me pare che sémo fora,
e voémo solo che sti posti mòra,
a quei che vegnarà,
ghe assaremo scoasse a volontà,
e i podarà pensare:
Quei gera semi!
Sensa paura de sbagliare.
So drio rivalutare Atila e anca e cavaete,
parchè, davanti a noaltri, e ze dee pie suorete.
Qua ghemo a che fare co zente ingorda, avida,
co na losca conbricola, corota e squàida,
pai schèi i tombaria el Brenta, e vile coi so fregi
e i spianaria i parchi pa far dei bei parchegi.
Par finire, e scuseme pal diaèto,
voévo fare on invito più direto.
Davanti a sta schifessa, che sarà Veneto city,
anca se on fià tardi, moémoghea de stare sempre siti!
[luglio 2011]
Traduzione libera, a cura di sAm
Non si fa casino da queste parti / si tace e si lavora / la nonna col rosario, la polenta abbrustolita / ci han lasciato un bella eredità / siti, muti, calli sulle mani, schiena rotta dalla fatica / il prete, il padrone / hanno sempre ragione… //
Finita la guerra, via con la ricostruzione, / sono arrivate le fabbriche e anche qualche soldo / allora butta giù tutto, anche quello che c’era di bello. / Taglia alberi, interra fossi, asfalta viottoli e strade bianche. / Una bella casetta costruita con il cognato al sabato e alla domenica / porticato all’americana, cesso dentro / persiane in plastica e mobili in formica / quel rudere con gli archi e quella tavola di noce / lasciamoli cadere a pezzi e diamogli fuoco, / che è da vergognarsi di essere stati così poveri / Pazienza! Per il progresso bisogna pur perdere qualcosa. //
Ma ormai, ai veneti, gli ha preso la mano, / allora via con le zone industriali e con i centri residenziali, / anche il paesetto più scalcagnato / si è dato da fare per non essere in fondo alla fila: / capannoni, case a schiera, condomini / paesi tutti uguali, né carne né pesce / un campo ogni tanto e il resto cemento. / E tutti siti… / Tanto abbiamo i soldi, / ma quando cadono due gocce, tutti sotto acqua, / allora via con i pianti e le maledizioni. / E intanto tappano gli ultimi fossi / fanno condomini, capannoni, centri commerciali… //
Adesso, con la crisi che è arrivata / capannoni chiusi, quartieri nuovi mezzi vuoti, / gente disperata. / Uno che osserva dall’esterno pensa: / si calmeranno? / Avranno capito di aver esagerato? Macché, niente da fare, avanti sempre. / Strade, bretelle, cinture, passanti / caselli, capannoni, ipermercati, condomini / il Veneto deve diventare una unica metropoli / senza scampo. / Senza interruzione. / Di terra libera, / per uccelli, per piante e per cristiani / nemmeno a parlarne! / E sono solo manie di quattro sfigati / che credono ancora al bisogno di posti naturali. //
Appena fuori dai paesi, già moribondi e assassinati, / senti questa grande idea moderna e geniale, / facciamo su una bella city artificiale. / Un paese dei balocchi, / per tanti bei pinocchi / che presto diventeranno asini o ochi. / Il paradiso dove trovare / tutto quello che uno può sognare. / Qualche tonnellata di cemento non guasta / su quelle terre perse che non hanno futuro / e poi pianteremo anche alberi, di sicuro, / e daremo lavoro a tanta gente. / “Noi siamo il progresso e gli altri non capiscono niente”. //
Qua mi fermo con la descrizione / e passo a dire la mia opinione: / se questo è il progresso, / la filosofia di adesso, / mi pare che siamo fuori, / e vogliamo solo che questi posti muoiano, / a quelli che verranno, / lasceremo spazzatura a volontà, / e potranno pensare: / Quelli erano scemi! / Senza paura di sbagliare. / Sto rivalutando Attila e anche le cavallette, perché, di fronte a noi, sono delle pie suorette. / Qui abbiamo a che fare con gente ingorda, avida, / con una losca combriccola, corrotta e squallida, / per i soldi interrerebbero il Brenta, le ville con i loro fregi / e spianerebbero i parchi per far dei bei parcheggi. //
Per finire, e scusatemi per il dialetto, / volevo fare un invito più diretto. / Di fronte a questa schifezza, che sarà Veneto city / anche se un po’ tardi, smettiamola di stare sempre siti.
ruggero dice
aggiungiamoci pure che ora tutto ciò che è eco-compatibile, naturalisticamente conservato, selvaggio, biologico, biodinamico…sembrano possibilità alla portata dei benestanti che cercano fuori dal proprio territorio(che magari hanno ben contribuito a rovinare)quelle oasi di benessere dove rilassarsi…
vien quasi voglia di far il tifo per gli sconvolgimenti con i quali madre natura cerca di liberarsi dalla forfora artificiale, l’uomo
Roger dal Fosso