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Un’autostrada è per sempre

29/08/2011

di Enrico Zanette

Riceviamo e pubblichiamo una lettera del nostro amico Enrico Zanette, già intervenuto sulle pagine del nostro sito, con altre corrispondenze da Vittorio Veneto (cliccare qui, qui e qui).

Cari di storiAmestre,

qualche settimana fa, ho letto il libro di Matteo Melchiorre di cui avete pubblicato alcuni brani. A un certo punto, Melchiorre parla anche del Fadalto, una località della Val Lapisina, ultima propaggine a nord del comune di Vittorio Veneto confinante con la provincia di Belluno. Il brano si trova a pagina 184: “per andare da Belluno alla pianura, si passava per il Fadalto, scendendo un passo agevole tra borgate e paesi. Borgate e paesi vivevano degnamente del traffico che scendeva o risaliva il passo. Bar, negozi, artigiani, scuole e via dicendo. Poi […] hanno costruito l’autostrada A27, quel disastro. Hanno sollevato la strada dal passo, e l’hanno innalzata in cima a un viadotto, alto […] centinaia di metri. Le macchine, adesso, transitano in aria e i paesi del Fadalto, pian piano, privati del traffico di passaggio, sono morti. Chi è rimasto a vivere sul Fadalto […] si trova addirittura, adesso, le immondizie nei cortili e sui tetti; lattine, sigarette, bottiglie e sacchi, gettati sui paesi dal cielo, dal punto in cui il cielo è attraversato dall’autostrada”.

Leggere della valle e dell’autostrada nel libro di Melchiorre è stata una bella sorpresa e questa lettura ha risvegliato la mia attenzione, da anni assopita dalla quotidiana abitudine dello sguardo, nei confronti della Val Lapisina e il suo viadotto. Così, approfittando di qualche giorno di vacanza sono andato a vedere com’è oggi il Fadalto risalendo per la vecchia statale Alemagna che corre sotto i viadotti autostradali. Per chi volesse, grazie a Google Maps si può oggi percorre anche da casa.

1. Come scrive Melchiorre borgate e paesi sono morti e l’intera vallata appare spettrale, tagliata dal viadotto sopraelevato.

Quasi tutto è in vendita, tra case sfitte, e ruderi la costante sono i cartelli disperati di Vendesi. Un simbolo dell’abbandono della valle è l’Albergo Belvedere, con le saracinesche mezze abbassate, l’insegna cubitale bianca sullo sfondo giallo ancora vivace.

Sulla stradina che porta alla terrazza si avverte il cigolio delle bandierine di ferro che dovevano dare il benvenuto ai turisti stranieri.

Sbirciando all’interno della hall si intravede ancora il registratore di cassa sul bancone zincato, un paio di poltrone in finta pelle, un tavolinetto basso e un televisore gigante; alla parete il calendario della proloco del gennaio ’97. Chissà se è proprio da quell’inverno del ’97 che ha cessato l’attività, ma poco importa, dopo l’apertura dell’autostrada, il 30 novembre ’94, era solo questione di tempo. Una volta eretti i piloni del viadotto sopraelevato il Belvedere non avrebbe più avuto ragione d’essere. Il suo nome infatti appare oggi come la nota beffarda di un umorismo nero.

2. L’Albergo Belvedere non era l’unico della valle ad aver preso il nome dall’antico panorama; qualche tornante più a nord sorgeva il ristorante Miravalle, con l’adiacente albergo e ristorante da Mosé che per attirare i tedeschi si era dotato della classica insegna luminosa “Zimmer”. Dopo l’apertura dell’autostrada, il proprietario aveva dichiarato al giornalista Fulvio Fioretti che lo intervistava per il “Gazzettino” del 29 giugno 1995: “Dobbiamo prendere quello che viene – dice – e puntare sulla qualità e sul servizio, come abbiamo sempre fatto per costringere i clienti a ritornare. Non c’è altra soluzione. Il Fadalto, per noi che lo abbiamo fatto conoscere al mondo non potrà essere dimenticato solo per il passaggio di un’autostrada”. L’intero stabile, segnato dall’incuria, è oggi in vendita.

3. Rientrando a casa penso a come sia stato possibile costruire un’autostrada in quel modo. In cerca di risposte decido di rivolgermi a qualche libro di storia locale e dopo averne sfogliati un paio il rapporto tra autostrada e valle mi è subito sembrato più chiaro.

Ne deduco che la crisi della valle non è derivata dalla costruzione dell’autostrada, ma come tutti commentano è antecedente e già percepibile a partire dagli anni Settanta: abbandono delle attività tradizionali del pascolo e della raccolta del legno, diminuzione delle attività artigianali che non tenevano il passo con i manufatti industriali, chiusura dell’enorme cartiera dei Fratelli Sartori sul lago di Negrisiola. In questa parabola discendente si inserì l’antico progetto del viadotto Venezia-Monaco, che l’attuale governatore del Veneto, Zaia, vorrebbe portare a termine.

I politici dell’epoca rilanciarono il progetto con la solita metafora del volano della crescita economica, con la retorica delle scelte dolorose a cui ci espone la necessità del progresso e del benessere generalizzato. E come spesso accade quando una valle, un campo, un terreno, dà segni di stanchezza, quando scompare dalle conversazioni e dai pensieri della gente, c’è qualcuno che piomba sulla preda per stendere il suo mortifero sigillo di calcestruzzo.

Così approfittando del declino economico e sociale della valle il progetto autostradale si è potuto affermare brutalmente senza troppe resistenze, presentandosi come una “possibilità di salvezza”, ma in effetti portando il colpo di grazia, l’ultima fase della crisi, una sorta di estrema unzione della tecnica.

4. Ancora negli anni Ottanta quando il progetto autostradale era lontano, ma i segni della crisi delle attività tradizionali già da tempo visibili monsignor Basilio Sartori in un suo testo dedicato alla Val Lapisina (La Valle Lapisina tra storia e leggenda, Vittorio Veneto, TIPSE, 1982, p. 226) aveva cercato di rilanciare la valle puntando sul turismo: “La Valle Lapisina inoltre presenta molteplici ed evidenti segni di interesse turistico. I motivi sono legati alla naturale via di transito tra la pianura e la vallata del Cadore, di molteplici luoghi tranquilli (Maren, Fais, ecc.) e favorita da un clima fresco e ventilato, da alcuni importanti motivi di interesse artistico (Chiesa di S. Giustina, Torre di S. Floriano, ecc.) e dagli incantevoli laghetti (Negrisiola, Restello, Morto). Se potenzialmente la vocazione turistica è fuori discussione, nella realtà il fenomeno in questi anni ha avuto un suo sviluppo accentrato nelle zone di Fadalto dove si registra un numero di presenze stagionali che superano le 30mila unità”.

L’appello turistico di Sartori, unito alle proteste degli ormai pochi abitanti della valle non riuscirono a bloccare l’inesorabile costruzione del viadotto.

5. Eppure il monsignore non aveva visto male. Negli ultimi anni malgrado il viadotto autostradale si è affermato il “fenomeno” del lago Morto.

Questo lago leggendario, profondissimo, tanto profondo da pensarlo infinito, del quale si dice che nei periodi di secca mostrerebbe la punta di un campanile sommerso, responsabile pare delle variazioni della sorgente del Gorgazzo, è diventato un luogo frequentatissimo, tanto che è difficile trovare parcheggio nelle vicinanze. Ci sono anche stranieri: nei miei passaggi ho notato per esempio due gruppetti di inglesi, una coppia di francesi e poi quelli che si sono stabiliti da queste parti per lavoro e vengono a passare qualche ora del loro tempo libero. È nato anche un piccolo chiosco in riva al lago con gelati, panini alla piastra e bevande.

La presenza del viadotto lì in alto, grigio, rende il luogo di villeggiatura un po’ trash, si direbbe un’atmosfera vagamente fantozziana: un luogo meraviglioso con vista sull’autostrada. Una località che ha dato vita ad un turismo low-cost, iperpopolare con i suoi barbecue, frigobar e ombrelloni portati da casa e dove i bambini si divertono da matti. Ieri ne ho sentito uno gridare ai genitori: “la prossima volta però rimaniamo qui fino alle 10 di sera; è un posto splendido!”.

Di fronte al recente successo del lago Morto la costruzione del viadotto appare ancora più incredibile e viene da pensare all’occasione persa dall’intera Val Lapisina in un periodo in cui cresce l’interesse verso l’ecologia, l’ambiente e le forme di sviluppo-turismo sostenibile. Non lo potremo mai sapere, ma se il progetto fosse stato proposto oggi, con la presenza di questo turismo popolare e l’affermarsi della sensibilità politica che da anni coinvolge sempre più persone in difesa del proprio territorio, forse la Val Lapisina si sarebbe salvata.

Mentre le convinzioni e le località turistiche cambiano nel tempo, un’autostrada è per sempre.

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Archiviato in:Enrico Zanette, La città invisibile Contrassegnato con: descrizione, Vittorio Veneto

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Commenti

  1. michele dice

    25/09/2013 alle 09:45

    consoliamoci che in realtà un'autostrada, a differenza dei viadotti romani, non è proprio per sempre… Tra due o trecento anni quei viadotti in Val Lapisina non esisteranno più….

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