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Stadio d’eccezione. A proposito di Daspo

13/02/2011

di Lorenzo Contucci, a cura di redazione sito sAm

Nell’ultimo punto del loro articolo di qualche giorno fa, Filippo Benfante e Piero Brunello ricordavano che, dopo le manifestazioni studentesche del 14 dicembre 2010, ministero degli Interni e governo avevano lanciato l’idea di estendere l’applicabilità del “Daspo” (il “Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive”) alle manifestazioni politiche e sindacali. Dopo qualche giorno di polemiche, non se n’è più sentito parlare.

Da molti anni siamo abituati a vedere l’approvazione di leggi e di misure di sicurezza che sino a poco tempo prima sembravano impensabili. Spesso il percorso prevede una dichiarazione “avventata”, che viene subito smentita; dopo un certo periodo di silenzio, ci si accorge che quella che era stata liquidata come boutade si sta trasformando – o addirittura si è già trasformata – in legge.

Inoltre, chi ha frequentato sia gli stadi che le manifestazioni in questi ultimi vent’anni, si è accorto di come le tecniche di gestione dell’ordine pubblico sono passate da un ambito all’altro.

Ci sembra perciò opportuno riprendere alcuni brani del saggio di Lorenzo Contucci, L’avvocato del diavolo. Lo stadio di polizia, contenuto nel recente Stadio Italia. I conflitti del calcio moderno, a cura di Silvano Cacciari e Lorenzo Giudici (la casa Usher, Firenze 2010, pp. 111-128). Riprendiamo i brani in cui Contucci, un avvocato di Roma che si è specializzato nella difesa di ultras, traccia una breve storia del Daspo, evidenziando le sue conseguenze sul piano giuridico e dei diritti individuali. Ringraziamo l’autore, i curatori e la casa editrice per la gentile concessione.

“Per fare il punto storico/legislativo, sono esattamente venti anni che lo Stato affronta il problema della violenza degli stadi a colpi di decreti legge, fondati principalmente sul coinvolgimento emotivo dell’opinione pubblica provocato da gravi fatti di cronaca. Ogni volta il decreto legge era annunciato come risolutivo, tra le grida di giubilo dei commentatori. L’art. 6 della legge 401 fu dunque varato nel lontano 1989 e, come detto, è stato via via modificato a colpi di decreti. Esso istituiva il Daspo, acronimo di Divieto di Accesso alle manifestazioni Sportive. Il Daspo, che vieta al soggetto ritenuto pericoloso di poter accedere agli eventi sportivi, è un provvedimento emesso dal questore e la sua durata può andare da uno a cinque anni, in base alle modifiche del decreto Amato varato nel febbraio 2007. Può essere accompagnato dall’obbligo di presentazione a un ufficio di polizia in concomitanza temporale della manifestazione vietata. Il Daspo può essere emesso sulla base di una semplice denuncia e non necessariamente dopo una condanna penale. Dopo la legge Amato, addirittura senza che vi sia una denuncia, ma solo sulla base di un comportamento genericamente pericoloso per la sicurezza pubblica. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 512 del 2002, inquadra la misura del Daspo tra quelle di prevenzione, che possono essere quindi inflitte anche in attesa del processo – ma oggi, come detto, anche senza processo – ed essere poi revocate in caso di assoluzione. La lunghezza dei giudizi fa sì che spesso la persona sottoposta al Daspo sconti per intero la ‘diffida’ senza che il processo per il reato che a essa ha dato origine venga celebrato, compromettendo di fatto alcune libertà fondamentali come quella di circolazione (art. 16 della Costituzione) e quella personale (art. 13)” (p. 114).

“La democraticità di un Paese la si valuta anche dal numero di leggi speciali che vi sono e l’Italia certo non brilla al riguardo. Nel codice penale e di procedura penale già vi erano le sanzioni e i reati che sono stati introdotti con gli articoli 6 e seguenti della legge 401/89, così come esiste una legge quadro delle misure di prevenzione, la 1423/56, che ben poteva essere applicata anche nella materia trattata, senza abnormità giuridiche. Ma di fronte alla pressione mediatica il Parlamento deve legiferare.

Personalmente ritengo che una riforma costituzionalmente orientata della legge debba, in primis, affidare al questore solo il potere di proporre il provvedimento di DASPO e che debba essere il giudice – con regolare udienza nel contraddittorio delle parti, oggi negata – a dover decidere se e in quale misura applicarlo, così come avviene per le altre misure di prevenzione. Oggi invece è lo stesso questore che applica il provvedimento, con un successivo e sommario controllo del giudice sul solo obbligo di firma. Nessun controllo, invece, vi è sul divieto di accesso, per il quale si può ricorrere solo per via amministrativa, con elevata spesa. Non può non essere notato come tutte le tifoserie d’Italia, che contano centinaia di migliaia di appartenenti, siano concordi nel dire che l’inasprimento della conflittualità tra tifosi e forze dell’ordine sia stata determinata anche dall’eccessiva discrezionalità lasciata ai questori e da insufficienti garanzie difensive per gli interessati” (pp. 114-115).

“In secondo luogo, credo che alcuni articoli della legge attualmente in vigore siano per un verso errati, per l’altro assai pericolosi perché aprono crepe significative nella Costituzione. Appaiono eccessive nei minimi edittali le pene previste per alcuni reati, giacché, se paragonate con altre fattispecie di reato più gravi, tolgono la discrezionalità al giudice di stabilire una pena congrua e giusta, come è eccessivo prevedere che il Daspo applicabile dal giudice con la sentenza di condanna abbia una durata minima di due anni, sproporzionata per un eventuale reato di modesta entità. Aspetti che mi sembrano stridere con il testo costituzionale sono invece rappresentati dal cosiddetto Daspo preventivo (basato non su una denuncia, ma sua una relazione di servizio delle forze dell’ordine in cui si giudica come pericoloso per la sicurezza pubblica un determinato comportamento) e dalla flagranza differita. Il primo sottrae al prevenuto la possibilità di difendersi, in quanto non ha un giudice di merito avanti al quale discolparsi. Se l’innocente denunciato e ‘daspato’ può sperare nell’archiviazione o nell’assoluzione, l’innocente ‘daspato’ senza denuncia non ha la possibilità di rimuovere il Daspo, perché non ha un giudice di merito avanti al quale difendersi. Il Tar, infatti, è giudice di legittimità senza compiti di indagine, e il Gip si pronuncia solo sull’obbligo di presentazione.

Anche la flagranza differita, oggi estesa a 48 ore, è costituzionalmente criticabile, perché viola l’art. 13 II comma della Carta Costituzionale. La flagranza differita, o arresto ritardato, venne introdotta dal governo Berlusconi e fortemente osteggiata dall’allora opposizione, tanto che venne dato un termine di scadenza alla norma che lo introduceva. È stata poi prorogata sine die [anche da quell’opposizione passata brevemente al governo]. Aprire una crepa nella Costituzione è rischioso per tutti, non solo per i tifosi, e temo che presto gli improvvidi se ne renderanno conto” (p. 115).

Brani tratti da: Lorenzo Contucci, L’avvocato del diavolo. Lo stadio di polizia, in Stadio Italia. I conflitti del calcio moderno, a cura di Silvano Cacciari e Lorenzo Giudici, la casa Usher, Firenze 2010, pp. 114-115 (il saggio è alle pp. 111-128).

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Archiviato in:La città invisibile, Lorenzo Contucci, redazione sito sAm Contrassegnato con: calcio, intervento, ordine pubblico

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Commenti

  1. spartaco dice

    27/03/2011 alle 15:29

    Vi segnalo questo articolo, mi sembra importante che giri:
    http://espresso.repubblica.it/dettaglio/cosi-la-polizia-mi-ha-massacrato/2147611

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