di Filippo Benfante
Uno dei redattori del sito sAm tenta di fare il punto della situazione dopo che si è riaperta la discussione sul museo del Novecento a Mestre, con alcune proposte per proseguire.
Dal 22 agosto al 3 settembre, sulle pagine del sito si è svolta una prima discussione sul museo del Novecento a Mestre, avviata da un intervento del socio Alessandro Voltolina e chiusa, provvisoriamente, dal direttivo di sAm con la rivendicazione del lavoro svolto dall’associazione sul tema fin dal 1996, e l’ impegno a tener viva la discussione pubblica in vari modi. (Un intervento che ha ricevuto vari commenti.)
Tralasciamo il punto del copyright sull’idea, perché il sito, grazie anche alla sua prima artefice, Mirella Vedovetto, è vicino alla filosofia del copyleft. Fermo restando che copyleft significa anche corretta citazione, dunque rispetto del lavoro altrui e altrettanta liberalità nel concedere il riutilizzo: nessuna privatizzazione, nessun brevetto esclusivo.
È evidente che una proposta formalmente simile può essere realizzata con spirito e obiettivi assai diversi; si pensi al tema della “partecipazione” e “interattività”. Nella proposta di storiAmestre, il museo “diffuso”, “partecipato” e “interattivo” ha a che vedere con la cittadinanza e la democrazia; nell’intervista di Giuliano Segre il modello proposto è “Gardaland”.
Oltre a queste, ci sono altre ragioni per cui sembra utile – e legato alla vocazione e alla prassi dell’associazione – ragionare di questo museo. Quanto è emerso finora pone prima di tutto il problema del rapporto tra pubblico e privato e quello dei poteri in città. Che i giornali cittadini abbiano l’abitudine di passare dei comunicati stampa invece che realizzare articoli documentati e interviste critiche, non è una novità. Nella prosa che ne risulta, ci sembra sfuggano le identità e i ruoli degli enti coinvolti. Non sempre è chiaro che la Fondazione di Venezia è un soggetto privato che ha ottenuto e ottiene importanti concessioni dalle istituzioni pubbliche; il Comune è un soggetto assai sfumato, con il risultato di avere sulla ribalta un privato che si presenta e viene accreditato come operatore per il bene pubblico. Può essere, perché no? Ma su quali basi, con quali ragioni e con quali rapporti con le altre istituzioni pubbliche?
Il commento di Riccardo Caldura apparso su questo sito sembra vada in questo senso e si potrebbe provare a sintetizzarlo con questa domanda: una volta “a regime” l’M9, cosa ne sarà della Galleria contemporaneo che è del Comune? Lo stesso si potrebbe dire del Candiani. È un problema di patrimoni pubblici e di patrimoni privati, e della loro gestione, secondo logiche private o pubbliche.
Si dice che per ora questo aspetto è in secondo piano: si porrà davvero quando si discuterà di contenuto (di collezione del museo), mentre per ora si discute ancora del “contenente”, l’edificio. A parte che questa idea conferma la confusione tra pubblico e privato (ovvero affari immobiliari privati su suoli ex pubblici), pure il “contenente” è un punto, perché riguarda l’idea di città che viene promossa, e naturalmente di futuro della città. Anni fa, in un intervento che di recente abbiamo ripreso anche su questo sito, Piero Brunello scriveva che un giorno Mestre, per decenni città “brutta” per antonomasia, avrebbe avuto la sua fase “Mestre è bella”. Oggi abbiamo superato anche questa, e siamo nella fase “Mestre è turistica”. Persa la vocazione (e i posti di lavori e la ricchezza) di città industriale, come tante altre città d’Europa, anche Mestre si butta sul turismo, scontando una rendita di posizione. Ora, il ruolo di “anticamera” di Venezia va raffinato e valorizzato. Intanto deve essere camera da letto, ma di pregio, che al turista di rientro dalla capitale culturale offra buona ristorazione e svago di un certo livello – una Gardaland con un po’ di cultura. Un’altra funzione buona per Mestre è quella di moderno quartiere d’affari di un centro storico di grande pregio. Gardaland la facciamo vicino a piazza Ferretto; convegni e convention invece più vicini alla laguna, viale Ancona per dire. In entrambi i casi, i clienti attirati sul posto potranno e dovranno approfittare anche di offerte commerciali (negozi, boutique, etc.) all’altezza.
Negli ultimi anni Mestre è cambiata molto, seguendo linee comuni ai centri di molte città e cittadine europee. Gli intonaci colorati e levigati da giochi di luce delle facciate del centro sono gli stessi che i viaggiatori trovano più o meno ovunque. La varietà dei negozi e commerci nel centro e zone circostanti si restringe sempre più, diventando per lo più negozi di vestiti – marca, qualità, prezzo…, immagini e modelli di consumo – o luoghi dove si spacciano – a prezzi non popolari – bevande alcoliche, stuzzichini, tramezzini, fino ai piatti tipici. L’aperitivo veneziano è diventato nazionale, andata male con il “dolce della Torre”, aspettiamo che a breve il tramezzino di Mestre conti innumerevoli tentativi di imitazione. E il ristorante del museo, in nome del “territorio”, farà cucina di carne o di pesce? Anfibia…
Chi trae profitto da queste trasformazioni? La qualità della vita e della cittadinanza per chi abita in questo luogo ne risentiranno? E come?
Per esempio ci sarebbe da considerare l’impatto di “Gardaland” su Peschiera del Garda. In altre parole, il progetto a “respiro internazionale” della Fondazione fa tanto pensare a quella città del famoso festival internazionale del cinema nel cui centro storico è rimasta una sola sala cinematografica.
La costruzione di M9 a vocazione così apertamente commerciale dovrebbe invitare a ragionare sul museo anche in questo senso. Affare immobiliare, ma anche idea di città. E andrebbe valutato l’impatto dei cantieri: esempi recenti andati male ce ne sono tanti nel territorio comunale, dal ponte di Calatrava al tram, in attesa della nuova “grande stazione”. Anche questa, ovviamente, non è una peculiarità veneziana o mestrina, ma una caratteristica della città (e dell’economia) contemporanea su cui sAm potrebbe avere qualcosa da dire.