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Passante e Restante

01/10/2009

di Francesco Bortolini (con la collaborazione di Alberto Cotrona)

Francesco Bortolini abita a Casale sul Sile. Ha scattato le foto tra Quarto d’Altino e Bonisiolo nell’agosto 2007.

Passante e Restante

Ci sono sempre due opposti. Qualcosa nasce e qualcosa d’altro muore, qualcosa che arriva mentre altro se ne va. Tutta la nostra esistenza è sottoposta a leggi di viabilità. Il Passante di Mestre si lascia tradire dal proprio stesso nome, è qualcosa che passa; ma il problema è ciò che lascia accanto al suo – lento – scorrere. Il problema è il suo contrario, è ciò che resta di un territorio, di una storia, di una viabilità locale ridotta a essere un participio presente.

Ed è proprio nella viabilità locale, quel continuo intrecciarsi di nomi di strade, rioni e quartieri che risiede – e non “passa” – la storia di un luogo. Il problema è il “Restante” di Mestre, quello che rimane accanto a una strada che strada non è, perché non ha né una storia né un percorso autonomo: è semplicemente una fotocopia destinata a replicare, con la scusa di sdoppiare, una strada che c’è già. Certo, non ha nessun senso pratico dire che un’infrastruttura è antipatica perché priva di storia, e suona come ghigno da caffè letterario. Ma i nomi spiegano raccontano si arrabbiano.

Il Passante non ci piace perché è brutto di nome e sintassi sciagurata. Fa parte della cricca dei participi presenti, quelli che ci spiegano la fragilità della condizione stabile, come il “paziente” dell’ospedale, o il “potente” di turno che prima o poi c’imporrà qualcosa contro la nostra volontà. E poi, per quanto sia un tracciato senza storia, non possiamo dire che non abbia né capo né coda: ha un capo (la Regione Veneto), una coda (lunga, estiva, snervante) e due direzioni opposte. Afferma e allo stesso tempo nega. Se pensiamo al Passante, a ciò che passa, allora dobbiamo pensare anche a quello che resta: al Restante di Mestre e di tutto il territorio che si aggrappa e lotta per sopravvivere e mantenere la dignità del nome. Perché da “territorio” non si arrivi a “stradario”, e affinché non sia il cittadino costretto a essere, lui sì, niente più che un passante.

Deserto Artificiale

L’opera del Passante non si inserisce di buon grado in questo presente che lavora e si sposta. Un presente che, più che a una locomotiva, assomiglia a un carro sempre più pesante e inadeguato che necessita di nuove strade più grandi e resistenti per potersi muovere.

Ma è davvero la soluzione costruire nuove strade che sopportino il peso di questo nuovo ma per niente innovativo carro?
O questo nuovo progetto infrastrutturale che interessa quasi tutta l’Italia poteva essere dedicato allo sviluppo di nuove forme di trasporto o per lo meno a una forma di infrastruttura non invasiva del territorio, senza per forza doversi adattare alle esigenze temporanee?

Il giudizio non sembra essere così semplice, dato che c’era un grave disagio da risolvere dovuto alla Tangenziale. Sicuramente per chi questo Passante ora lo percorre disinteressatamente il disagio sembra un ricordo del passato, sostituito da 6 ampie corsie.
Ma per chi vive i luoghi del passante, la domanda è un’altra: Quali saranno gli sviluppi ambientali e sociali che il passante avrà sul territorio e sulla popolazione locale?

A questa domanda purtroppo solo il tempo avrà modo di dare una risposta. Per ora le analisi concesse sono da fare nel periodo di realizzazione dell’opera e nella sua prima vita.

Prima dell’inizio dei lavori, ingegneri impegnati nella progettazione dell’opera si sono occupati di sondare e verificare le specifiche riguardo alla portanza e alla solidità della via autostradale in compatibilità con il terreno.
Ora, dopo la sua realizzazione, il passante è affiancato da laghi nati artificialmente, dato che non è stato previsto un piano di raccolta e deflusso delle acque, abbondanti nel sottosuolo.

Sono state utilizzate continuamente pompe per aspirare l’acqua dagli scavi, inaridendo la terra e strappandola alla sua natura, imponendo così un “deserto artificiale” (con tanto di oasi irrisorie) che non è bonificabile con metodi tradizionali. Un “deserto” che per lunghi tratti sega in due campi, vie e piccole zone abitate. Un “deserto” che rimarrà anche dopo che il progresso del trasporto non né avrà più l’esigenza.

Ora la popolazione locale deve imparare a vivere con questo “deserto”, ma come si sa la convivenza non è facile con un vicino scomodo come un’autostrada.

La sottrazione impropria del terreno, lo sfruttamento intensivo delle poche risorse e dei pochi spazi disponibili, questo scambio univoco fra natura e asfalto che ormai troppe volte abbiamo vissuto, non fa altro che alimentare quel senso di amarezza, lasciando negli occhi di chi guarda quel “deserto”, un arido sentimento conteso fra rabbia e tristezza.

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Archiviato in:Alberto Cotrona, Francesco Bortolini, La città invisibile Contrassegnato con: descrizione, foto, paesaggio, passante di Mestre

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Commenti

  1. alessandro voltolina dice

    29/06/2011 alle 08:06

    tunnel “geognostico” in val di Susa

    geo: “elemento di composti derivati dal greco o formati modernamente, col significato di terra, globo terrestre…”
    gnostico: “relativo alla conoscenza; più specificamente relativo alla gnosi o forma religiosa di conoscenza… dal gr. gnostikos..”

    ma chi è quel demone che vuole opporsi a un fine così meraviglioso: conoscere le viscere della terra e il sacro che è sepolto in essa?

  2. alessandro voltolina dice

    06/10/2009 alle 14:48

    il terribile stupro a cui è stato soggetto il territorio deve essere colpa di gente straniera, forse africani o rumeni; impossibile infatti tanto odio verso se stessi. sandro

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