di Enrico Zanette
Leggendo nel sito di storiAmestre l’articolo Responsabilità limitata di Giovanni Levi su “Altrochemestre” (n. 5, primavera 1997), in un momento di distrazione, clicco casualmente sulle altre pagine. L’occhio mi cade sulla parola “Natale”, su Babbo Natale, il titolo dell’articolo precedente. Incuriosito decido di fare una pausa e di leggere questo pezzo. Molto interessante, si parla (non solo) di come Babbo Natale stia monopolizzando la distribuzione dei regali nei mesi invernali a scapito di personaggi come San Nicolò, Santa Lucia, Gesù Bambino o la Befana. Ma non era giornata: mi distraggo ancora e mi viene in mente quello che avevo visto con i miei occhi e le mie orecchie qualche mese fa.Il 5 dicembre 2006 ero in casa, e sento venire da fuori un rumore continuo, come uno sferraglio molto forte. Penso:
“Senti che rumore fa la linea ferroviaria, sarà l’umidità (ricordandomi che sentire il fischio del treno “porta piova”)”.
“Senti che rumore fa la linea ferroviaria; e sì che l’han fatta nuova… Trenitalia?!”.
“È lunghissimo sto treno, dev’essere per forza un merci”.
“È veramente rumoroso e lungo, troppo…".
Apro la finestra per accertarmi e sentire meglio: non è un treno, non può essere… Seguono secondi di incomprensione e paura… e finalmente capisco: “San Nicolò, i bandòt per San Nicolò!”. “Tiràr i bandòt”, lo dico per chi non è di Vittorio Veneto, significa strascinare lungo la strada (“tirar”) oggetti di materiale ferroso di varie dimensioni (tipo barattoli vuoti) legati assieme con delle cordicelle, in modo da fare un gran rumore.
Fantastico, corro a prendere la videocamera (non potevo proprio perdermi il San Nicolò). Mi metto alla finestra e dopo aver aggiustato le impostazioni dell’apparecchio comincio a riprendere.
Subito però mi annoio: vedo alti e bassi, meglio bambini e genitori che insieme, mano nella mano, tirano i bandòt, sfilando ordinati e composti nonostante il gran rumore. Un baccano con ordine, un baccano organizzato.
Mi ricordo che da bambino, per il San Nicolò, compravo, di nascosto dai miei genitori, i petardi e insieme agli amici uscivamo a scoppiarli, liberi finalmente di uscire la sera senza divieti. Questo era il mio San Nicolò: petardi e trasgressione delle norme. Mio zio mi riferisce che lui i bandòt li tirava e andava grosso modo come nel mio caso; tra l'altro mi racconta pure che la vigilia del Primo maggio esisteva l’usanza un po’ singolare di togliere i cancelli dalle case dei vicini, di prelevare biciclette, e qualcosa d’altro – mi dice che una volta a un tizio hanno portato via il cesso in cortile -, il tutto poi veniva portato nella piazza del paese. Mio nonno, a proposito di scherzi singolari, ricorda che era usanza andare a fare un gran baccano il giorno in cui un vedovo si risposava. Molti antropologi e storici si sono interessati e si interessano tuttora a questi rituali, alle loro origini, alle loro permanenze, al loro significato. Ora cosa dire di ciò che accade oggi? Ve lo immaginate oggi la vigilia del Primo maggio andare in giro per la città a sradicare cessi e cancelli? Beh, cessi esterni non ce ne sono più, e cancelli rimovibili? Se ti va bene riesci a non farti beccare dalle telecamere e dal vicino appostato pronto a chiamare il fantastico servizio di delazione gratuita vittoriese. Turbare la quiete di un vedovo che si sposa, poi, è quanto mai lontana dal nostro moderno stile di vita.
Qualche anno fa però qualcuno ha cominciato a dire che bisognava tornare a festeggiare il San Nicolò, rivalutando le nostre tradizioni contro l’omologazione culturale anglosassone: niente di più nobile! Mi pareva di sentire la solita solfa: “Quanto ci dispiace perdere queste tradizioni! Senza le tradizioni quale futuro! E i nostri figli come cresceranno?”, ecc.
Ci troviamo dunque di fronte all’organizzazione formale di un rituale, con tanto di percorso da seguire, indicazioni precise su cosa portare e via dicendo, il tutto organizzato dai genitori a favore di una migliore educazione dei figli: “alla tal ora ci troviamo nel tal posto per fare il definito percorso nel tal tempo massimo”! Quanto assomiglia il San Nicolò di oggi da quello mio o da quello di mio zio? Il nome è sempre quello, i bandòt sono sempre bandòt, ma cosa c’è di diverso?
Il problema sta nel fatto che un rituale (come quello di tirare i bandòt) è un qualcosa di complesso, che ha il suo ruolo all’interno di una cultura, di un’economia, di una società, tutte cose complicate, fatte di conflitti, equilibri, mediazioni e rotture, all’interno delle quali il rituale specifico fa la sua parte. Il vecchio San Nicolò mi era sembrato un momento di sospensione temporanea di norme e leggi, di rottura e riconferma del sistema normativo. Se penso a ciò che ho visto l’altro giorno vedo, invece, ordine, disciplina e contegno. Che senso ha recuperare una tradizione svuotandone il significato, trasfigurandone i contenuti, inserendo i genitori nella scena? Sinceramente non lo capisco, e forse è solo un modo per passare del tempo insieme ai propri figli, ma mi hanno fatto pena quei bambini, anche se probabilmente si sono divertiti…
Questo San Nicolò disciplinato in un binario mi era sembrato inizialmente un treno merci e forse non mi ero sbagliato.