di Enrico Zanette
Nota della redazione. Abbiamo scelto il 17 marzo per presentare le iniziative di storiAmestre sul 1848 a Venezia e terraferma. L’abbiamo fatto pensando agli avvenimenti – di piazza – del 1848 e ignorando quelli – parlamentari – del 1861 portati alla ribalta lo scorso anno, dopo tanto tempo, dalle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità.
Il 18 marzo 1872, centoquaranta anni fa, un giornale milanese della “scapigliatura democratica”, “Il Gazzettino rosa”, usciva listato a lutto per la morte di Giuseppe Mazzini, avvenuta sette giorni prima. La prima pagina, occupata quasi tutta dalla corrispondenza di Felice Cameroni (che si firmava Stoico) sui funerali e sulla sepoltura di Mazzini, si apriva con un ricordo delle cinque giornate di Milano: “Ventiquattro anni sono…”. Il 18 marzo 1848 di Milano oscurava un altro 18 marzo a cui i redattori del “Gazzettino Rosa” si erano affezionati l’anno prima: il 18 marzo 1871 in cui a Parigi era stata proclamata la Comune, quella straordinaria esperienza per cui avevano trepidato da lontano, e per la quale alla fine avevano aderito all’Internazionale, malgrado la condanna del loro primo “Maestro”, Mazzini. Negli anni seguenti il movimento operaio italiano avrebbe scelto il 18 marzo della Comune data da celebrare e festeggiare.
Abbiamo chiesto ad alcuni amici di scriverci qualche considerazione a partire da questi anniversari: come si scelgono, come si celebrano, come si trasformano. Il primo a risponderci è stato Enrico Zanette, che ringraziamo. Speriamo che altri seguano.
(red sAm)
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Il comunardo Jules Vallès scriveva ricordando le prime giornate della Comune di Parigi: “Allons! C’est la Révolution! La voilà donc, la minute espérée et attendue depuis la première cruauté du père, depuis la première gifle du cuistre, depuis le premier jour passé sans pain, depuis la première nuit passée sans logis – voilà la revanche du collège, de la misère, et de Décembre!”*.
Jules Vallès ritratto da Gustave Curbet (tra 1855 e 1865)
Quando lessi per la prima volta queste righe rimasi molto sorpreso. Ero abituato infatti a sentir parlare della rivoluzione come di una palingenesi sociale, la trasformazione radicale della società sulle linee guida di principi astratti, ideali; protagonisti erano i popoli, le masse, la classe operaia che si muovevano per la libertà e la giustizia universale. Pensavo che la rivoluzione, la politica, fossero sacrificio di sé e iniziassero proprio con il mettere da parte la dimensione individuale e privata dell’esistenza, sostituita dai problemi collettivi, della società, del mondo, degli altri.
Vallès invece, colui che pochi anni prima aveva partecipato alla rivoluzione comunarda, e quindi rivoluzionario di fatto, parlava di tutt’altro. Presentava la rivoluzione come una rivincita, come un fatto legato al suo vissuto personale. Mi era quindi sembrato uno straordinario esempio di antiretorica applicata al tema della rivoluzione, presentata come valorizzazione politica del vissuto individuale. La rivoluzione così perdeva l’aura retorica che assumeva nei discorsi radicali per divenire momento di rivincita sulle violenze, miserie, ingiustizie e sofferenze subite. Per Vallès i protagonisti della Comune non erano quindi riconducibili a una classe o alla bontà di qualche spirito filantropico, ma a quella che lui definiva la Fédération des Douleurs.
Questo punto di vista sulla rivoluzione mi convinceva dell’utilità e dell’attualità di uno studio sulla Comune e i suoi protagonisti. Mi spiego meglio.
Quando ne parlo in questi termini vengo generalmente accolto da sguardi di stupore, se non di ironia. Queste reazioni le riscontro anche di fronte a quelli che fanno politica “radicale” per i quali nonostante la Comune sia un mito rivoluzionario indiscutibile, rimane un fatto del XIX secolo. Mi dicono “sei fermo all’Ottocento, il mondo è cambiato” e cominciano a parlare di capitale cognitivo, moltitudine, esodo, biopolitica…
A me sembra invece che quella che Vallès chiamava la fédération de douleurs composta dalle vittime della disoccupazione, della precarietà del lavoro, delle diseguaglianze di genere, della disciplina scolastica sia – con tutte le differenze storiche – un fatto sociale di oggi tanto quanto di allora. Se la rivoluzione è rivincita sulle ingiustizie, aspirazione alla libertà individuale di essere, fare e dire ciò che si vuole e perseguimento della giustizia sociale nel voler instaurare rapporti paritari di cooperazione tra gli individui, si tratta di una prerogativa dell’Ottocento, o piuttosto di una possibilità che sta di fronte a noi?
L’attualità della Comune consiste allora nel mostrarci come un esempio che ciò che pensiamo, le miserie che viviamo, le aspirazioni che abbiamo sono state vissute da altre persone. La Comune ci consegna però anche una dolorosa verità: la semaine sanglante. La rivoluzione iniziata il 18 marzo 1871 terminò brutalmente dopo pochi mesi, il 28 maggio a seguito di quella che viene ricordata come la semaine sanglante, durante la quale decine di migliaia di parigini vennero massacrati dall’esercito francese. Questa fine terribile della Comune fu nei decenni successivi oggetto di discussione e analisi da parte del movimento rivoluzionario internazionale nel tentativo di trovare una soluzione all’esito sanguinario della repressione. In Russia Lenin prima, e Stalin poi, metabolizzando l’esperienza della Comune, si decisero per una semaine sanglante preventiva, prima di subire un eventuale reazione controrivoluzionaria. Sappiamo oggi che entrambe le strade sono due vicoli ciechi e che forse la soluzione è da ricercare in quella bussola di cui scriveva qualche anno fa Innocenzo Cervelli a proposito di un altro comunardo, Gustave Lefrançais (su questo sito lo ha già citato Filippo Benfante). La rivoluzione presentandosi come il nord della bussola ci indirizza nelle scelte quotidiane adattandosi costantemente al mutamento continuo del contesto storico. Un lavoro pertanto lento e paziente di affermazione, sostegno e conquista, sempre e ovunque, di maggiore libertà e giustizia sociale tra gli individui.
Detto questo, oggi godiamoci il 18 marzo, Thiers e il suo esercito hanno lasciato Parigi, la quarta settimana di maggio è ancora lontana, la primavera è alle porta e la Comune trionfa.
* Da L’insurgé, cap. XXIV; il romanzo uscì postumo nel maggio 1886, Vallès era morto il 14 febbraio 1885.
“Andiamo! È la Rivoluzione! Eccolo dunque, il momento sperato e atteso dal primo gesto crudele del padre, dal primo schiaffo del maestrino, dal primo giorno trascorso senza pane, dalla prima notte passata senza un tetto – ecco la rivincita del collegio, della miseria, e di Dicembre!” (con allusione al colpo di stato di Luigi Bonaparte che instaurò il Secondo impero abolendo la repubblica nata nel 1848).